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Brescia
di LAURA DI PALMA 24 nov 2015 00:00

Il sistema carcerario italiano è un fallimento su tutti i fronti

Il “tema carcere” è stato al centro della giornata culturale promossa, lo scorso 20 novembre, da Libreria Rinascita, che ha visto la presenza di numerosi osservatori qualificati per discutere di “carcere, situazione italiana e caso bresciano”

Molto spesso, anche in tempi recenti, il dibattito popolare si è soffermato a riflettere sul mondo delle carceri e sui numerosi problemi che lo caratterizzano. Stando agli ultimi dati disponibili, aggiornati alla fine di ottobre, i detenuti nelle carceri italiane sono circa 52.500; di questi, 17.350 sono stranieri. Il “tema carcere” è stato anche al centro della giornata culturale promossa, lo scorso 20 novembre, da Libreria Rinascita, che ha visto la presenza di numerosi osservatori qualificati per discutere di “carcere, situazione italiana e caso bresciano”.

Dopo l’iniziale dibattito, tenutosi nel primo pomeriggio in libreria, l’incontro è proseguito, alle 17.30, con la tavola rotonda presso Brend alla quale hanno partecipato Gherardo Colombo, Luciano Eusebi e Stefano Anastasia, coordinati da Andrea Fora, vicepresidente nazionale di Federsolidarietà. “Il carcere italiano è fallito e tuttora fallisce proprio perché è carcere e, in quanto tale, non può svolgere la funzione che dovrebbe svolgere” ha esordito Gherardo Colombo, autore del libro Il perdono responsabile. Rivolgendosi direttamente ai presenti, l’ex magistrato ha poi proseguito: “provate ad immaginare di rimanere chiusi in una cella di non più di 12 metri quadrati, in compagnia di persone che non avete scelto, con una sola televisione ed un solo telecomando; immaginate ancora di poter vedere i vostri cari per non più di sei ore al mese e di veder lesi tutti i vostri principali diritti: ebbene, pensate davvero che si possa arrivare al bene infliggendo il male?! Il sistema carcerario italiano è un fallimento su tutti i fronti: la percentuale di detenuti che lavora è bassissima e, di fatto, non ci sono percorsi rieducativi; il 68% di chi esce dal carcere, ricommette reati nell’arco di breve tempo. Certamente chi è pericoloso per la società non deve stare con gli altri ma è fondamentale che i suoi diritti non gli siano negati: più che in un carcere si dovrebbe stare in una sorta di collegio dove la libertà personale è ristretta ma non calpestata, così da giungere a una completa riconciliazione con la società” ha terminato Colombo. “L’ambizione del carcere di rieducare alla vita e al lavoro è ormai superata, perché legata a un diverso tipo di società” ha affermato il prof. Anastasia; “il nostro Paese, nella sua fase di maggior sviluppo criminale, aveva circa 30000 detenuti, contro gli oltre 55000 di oggi: dati alla mano confermano che la percentuale di recidiva negli indultati è assai minore. Sarebbe dunque importante costruire relazioni sociali e diverse forme di giustizia e condivisione” ha poi concluso.

“Una giustizia riparativa è estremamente importante anche per le vittime di reati” ha detto invece il prof. Eusebi. “Il nostro modello carcerario non funziona in quanto è un moltiplicatore di male; alternativamente si potrebbe rispondere al male con il bene. Nessuna pena cancella il reato: sulle fratture si può solo gettare ponti, secondo il modello della giustizia divina che, salvifica, ridona una strada a quanti, nella realtà della vita, l’hanno perduta”.
LAURA DI PALMA 24 nov 2015 00:00