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Brescia
di REDAZIONE ONLINE 04 set 2015 00:00

"La legge e la coscienza". Brescia ricorda Mino Martinazzoli

Questa sera alle 18.30 in palazzo Loggia la presentazione di un volume curato da Tino Bino ed edito da "La Scuola". Nelle sue pagine riflessioni su riflessioni della tradizione letteraria e religiosa

A quattro anni dalla morte, avvenuta il 4 settembre 2011, Brescia ricorda Mino Martinazzoli, sindaco della città dal 1994 al 1998, l’ultimo segretario della Democrazia Cristiana, colui che ne guidò la fase post Tangentopoli e il traghettamento sino alla nascita del Ppi, certamente fra i leader più importanti del Partito, ma anche l’ uomo che ha riversato nelle tante tappe della sua carriera politica (parlamentare per ventidue anni, Ministro della Giustizia, della Difesa, delle Riforme istituzionali), competenza, passione, coerenza, studio e cultura.

Questa sera alle 18,30 a Palazzo Loggia, è prevista la presentazione de “La legge e la coscienza”, un volume che raccoglie alcuni scritti di Martinazzoli curato da Tino Bino, con postfazione di Pietro Gibellini ed edito dall’Editrice La Scuola.

Il libro, che sarà presentato dal sindaco di Brescia Emilio Del Bono, dal curatore e postfatore, insieme ai parlamentari Pierluigi Castagnetti e Paolo Corsini, ruota attorno all’eterno confitto fra la legge e la coscienza in tre episodi della tradizione religiosa e letteraria. Quello di Mosé dove è la legge che garantisce la libertà, quello di Nicodemo con i dubbi della coscienza che sono il baluardo della stessa libertà; quello della requisitoria manzoniana palesato nella “Colonna infame” con il deflagrare del conflitto tra legge, coscienza e potere che investe anche il nostro presente.

Si tratta di tre riflessioni “compiute” - scrive Bino- di “ una delle personalità più singolari e autorevoli della politica italiana del secondo Novecento. E del quale le pagine qui raccolte, scritte in epoche diverse per suggestioni di occasione, intendono sottolineare il talento altro, le passioni primigenie, la dimensione culturale e la formazione letteraria che sono i principi ispiratori, i capisaldi del suo pensiero e del suo agire politico”. Pezzi che non solo vanno a comporre quel “testamento spirituale” che Martinazzoli non ha scritto, o a delinearne la Weltanshauung, ma utili anche per capire la sua parabola incompiuta sul palcoscenico della vita politica. Della quale ha scalato alte vette di responsabilità “senza mai rincorrere, come avrebbe potuto e come gli sarebbe spettato, per documentazione storica, i vertici delle presidenze del Consiglio e della Repubblica”, scrive Tino Bino nella prefazione. Obiettivi cui “forse ambiva, ma che non coltivò, perché non volle fare fino in fondo i conti con la ferocia del potere, con il compromesso che corrode, che rende obbligatoriamente ambigua la coerenza della testimonianza”.

Non è tutto, perché questi scritti, aldilà delle interpretazioni politiche, testimoniano la passione di Martinazzoli per la letteratura, con la predilezione per i classici, e per le scritture, anche contemporanee, che dai “classici” attingono le radici: “Perché sono i classici a definire una gerarchia, a porci di continuo domande sull’attualità. E come soleva dire Mino, l’unico modo perdare risposte di senso è fare, farci domande giuste” . Anche alla luce di parecchi dettagli degli ultimi giorni di Martinazzoli raccontati nella prefazione dall’amico Bino, l’italianista Gibellini osserva come questi scritti permettano di definire il senso di quell’incrocio tra politica e letteratura, di dialogo tra impegno sociale e sete di assoluto, fra il travaglio di chi deve operare nel mondo machiavellico, e chi cerca la fedeltà a un Bene oltre la storia, dentro il rapporto del politico bresciano con le lettere. L’episodio ricordato dal prefatore di questo volume, con Martinazzoli morente che si fa leggere la poesia di Mario Luzi sulla madre, ne è la prova più lampante.
REDAZIONE ONLINE 04 set 2015 00:00