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Saviore
di GIUSEPPE ARRIGHETTI 07 ott 2015 00:00

Obiettivo: recuperare la caserma Campiello

Gli alpini degli 11 gruppi della Valsaviore hanno raccolto l’invito lanciato da Andrea Belotti di Cevo, autore del libro “La guerra sull’uscio di casa”, a recuperare la caserma Campellio

Uno degli avamposti strategici della Prima guerra mondiale per l’esercito italiano si trovava al passo di Campo, tra la bresciana Valsaviore e l’allora austriaca Val di Fumo. Qui gli alpini, per contrastare le truppe asburgiche posizionate al di là del fiume Chiese, costruirono ì una caserma, costata 800 mila lire, sul costone meridionale del monte Campellio. Ma il 3 aprile 1916 la caserma fu distrutta da una valanga che sommerse oltre 100 militari; 86 di loro morirono e, dopo essere stati portati a spalle alla località “Vertice Q”, con una funicolare furono portati a Isola, fra Saviore e Cevo, e seppelliti in un piccolo cimitero. Subito dopo la sciagura gli alpini tornarono a rioccupare la caserma e a ricostruire la parte abbattuta. Finita la guerra però la caserma andò inesorabilmente incontro ad un graduale degrado fino all’attuale condizione: in piedi è rimasto solo lo scheletro e i muri sono avvolti dalla vegetazione.

Da qualche mese c’è un insolito via vai al passo di Campo: gli alpini degli 11 gruppi della Valsaviore hanno raccolto l’invito lanciato da Andrea Belotti di Cevo, autore del libro “La guerra sull’uscio di casa”, a recuperare la caserma Campellio. “L’obiettivo – spiega Mauro Bazzana, ex sindaco di Cevo e rappresentante del comitato Caserma Campellio - è mantenere fruibile un luogo della memoria ma senza retorica: chi transiterà da questi luoghi sarà portato riflettere su quanti sacrifici e quanto sangue sia costata la fratellanza tra i popoli europei”.

La direzione scientifica dell’intervento è affidata al Museo della guerra bianca di Temù: “Qui si può effettuare un intervento simile a quello delle trincee del Montozzo – sottolinea Walter Belotti – in modo da restituire ai visitatori le condizioni di vita dei soldati italiani di cento anni fa. L’importante è che poi si proceda con una continua manutenzione, fondamentale per conservare in futuro il manufatto”.
GIUSEPPE ARRIGHETTI 07 ott 2015 00:00