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Brescia
di L.ZANARDINI 10 giu 2016 00:00

Don Andrea Regonaschi. Investimento sulla speranza

Originario della parrocchia di Isorella, 24 anni, è entrato in Seminario a 14 anni. Negli anni della Teologia ha svolto il suo servizio pastorale a Mompiano e a Serle e, come diacono, a Verolanuova. Cresciuto nell’Azione Cattolica, ha uno zio sacerdote (don Gino Regonaschi) del quale nutre una grande stima

Diventare prete è un investimento sulla speranza. Chi te lo fa fare, oggi, di mettere la tua vita in un progetto in cui non crede più nessuno? È solo la speranza che quello che il Signore ha fatto fino ad adesso, continuerà a farlo. E forse, oggi, ha bisogno ancora di più di farsi sentire. Se anche noi l’abbiamo dimenticato, Lui ha ancora qualcosa di bello da fare e da dire”. Don Andrea Regonaschi, classe 1991, ha le idee chiare. Forte della sua formazione in parrocchia e in oratorio, forte del suo tempo speso sul campetto da calcio (“mi piace molto giocare, ma sono notoriamente un po’ scarso”). Facendo il chierichetto, ha “preso confidenza con i sacerdoti e fatto le prime esperienze di preghiera e di servizio alla comunità. Certo, il posto dove ho speso più tempo è sempre stato l’oratorio, il luogo delle partite a calcio, dei lavori di gruppo, delle preghiere, dei rinfreschi dell’Acr, che mi è sempre piaciuta (sono stato tesserato fino a ‘ieri’) come momento di formazione e di divertimento bello all’interno della mia comunità”. Ha avuto la fortuna di frequentare il Seminario fin da piccolo quando con i chierichetti aveva partecipato a un camposcuola vocazionale. “Ho capito che il Seminario mi dava qualcosa in più e mi avrebbe fatto incontrare il Signore per comprendere qualcosa in più sulla mia vita. Non sono entrato a 14 anni per fare il prete, ma avevo capito, con un po’ di coraggio, che poteva essere la strada giusta”. Certo, non c’è un momento definito in cui ti accorgi che forse la chiamata di Dio può riguardare anche la tua vita. “È un percorso che si fa con il tempo, con le persone che incontri, con i sacerdoti che ho avuto la fortuna di conoscere, con gli amici e con il cammino dell’Azione Cattolica: tutte esperienze positive ricche di persone belle che credono, vivono con gioia la loro fede e ti trasmettono il desiderio di spendere quello che hai. Piano piano scopri cosa vuol dire essere prete e ti innamori di questa scelta. Solo alla fine della seconda teologia, con la tappa dell’ammissione, mi sono ritrovato a confrontarmi davvero con questa scelta di vita”. Nella sua formazione occupa, come sottolinea in più occasioni, un posto di rilievo “il mondo bellissimo dell’Azione Cattolica. Mi ha dato molto per lo stile e l’impronta che offre. In un momento in cui continuiamo a parlare dell’impronta dei laici e della corresponsabilità, dov’è che trovo una responsabilità vera a mettersi in gioco come nell’Azione Cattolica? Dov’è che trovo una formazione permanente? Lì vedo amici, ragazzi e adulti, che vivono la Chiesa in modo fresco da responsabili. Nell’Azione Cattolica, tra l’altro, vedo benissimo il ruolo del prete che accompagna il cammino degli associati”.
Se c’è una cosa che ha compreso è che Dio non è qualcosa di astratto ma si presenta come un compagno di viaggio nella vita di tutti i giorni. Oggi, però, non è scontato dire sì per sempre al sacerdozio. “Nei preti c’è un aspetto che mi ha sempre colpito: il tempo che dedicano alle persone che hanno bisogno: il tempo in cui ti fai compagno di strada di uno che cammina, in cui ti prendi sulle spalle le difficoltà di un altro e gli fai sentire la tua vicinanza, la vicinanza della comunità e la vicinanza di Dio. E questo aspetto mi fa commuovere e mi fa dire a me stesso: ‘Devi diventare prete per quello’. Devi far sentire a chi è davanti che Dio è vicino anche a lui. Ecco, vale la pena diventare prete per spendere questo tempo con generosità”.Nella difficoltà non è, però, semplice sentirsi abbracciati. “Quando ti trovi davanti ad alcune situazioni, la strada principale è quella di pregare. Nella difficoltà viene messa alla prova la mia vocazione, ma è anche il momento in cui la vocazione stessa va rinnovata, ritornando nella preghiera al Signore, colui che mi ha chiamato: ‘Mi hai mandato tu, se qualcosa non funziona, accompagnami’. La certezza dell’essere prete è di non sentirsi proprio abbandonati perché siamo nelle mani di una persona affidabile: Dio andrà avanti a realizzare le sue promesse”.

Per don Andrea è fondamentale, ultimo di cinque figli, il legame con la famiglia. Quattro sorelle (dalla prima figlia all’ultima ci sono 16 anni di differenza), di cui una (Marcella), gemella. “Quando sono entrato in Seminario, Marcella ha pianto, ma poi ha capito, ha accolto e accompagnato con generosità la mia scelta. Siamo molto uniti nella franchezza, nella sincerità e nella stima gli uni per gli altri. Tutte le nostre vite si stanno aprendo al futuro. Seguiamo i rispettivi cammini grazie anche al lavoro straordinario dei nostri genitori”. Sempre in famiglia ha potuto seguire da vicino la figura dello zio sacerdote (don Gino Regonaschi, parroco a Borgosatollo), che conosce “bene. Lo stimo molto. Quando ho iniziato a interrogarmi su cosa voleva il Signore dalla mia vita e su cosa mi accendeva il cuore, pensando al prete, pensavo a lui. Con tutta la sua disponibilità, con la sua capacità di accogliere, con la sua capacità di stare con i giovani e con gli ammalati, con la sua capacità di pregare giorno e notte. È un prete che ha fatto della sua scelta di vita la strada per diventare più bello e più santo”.

In generale, Andrea è affascinato da alcune figure di Santi preti, come il curato d’Ars o San Leopoldo, che si distinguono per la confessione e per l’ascolto: “Hanno dedicato la loro vita per i fedeli. Ho riscoperto in questi anni anche Paolo VI, che aveva un modo bello di guardare la realtà, il mondo, la cultura, l’arte, con un ottimismo esagerato. Aveva proprio uno sguardo positivo sulla realtà e sapeva cogliere con tanta speranza i segni belli che si vedevano. Sapeva valorizzare le cose positive, facendo passi che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di fare”. Se nell’essere sacerdote individua, tra le caratteristiche, proprio la propensione all’ascolto e alla confessione, non poteva non essere legato alla parabola che rappresenta la misericordia incarnata: “Più leggi il Padre Misericordioso e più entri nella storia. E alla fine abbracci il Padre che ti aspetta sempre, in ogni momento e in ogni situazione che stai vivendo”. “La vita è adesso”, davvero. È questo l’augurio per il nuovo cammino per chi come lui ama ascoltare i testi di Claudio Baglioni: “Ha una voce bellissima e fa canzoni molto belle con dei testi mai scontati. Chi non ha mai fatto un lavoro di gruppo su una canzone di Baglioni? ‘La vita è adesso’ è un inno alla vita… Non sono mai riuscito ad andare a un suo concerto, ma mai dire mai”. Buon percorso, Andrea.
L.ZANARDINI 10 giu 2016 00:00