lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Brescia
di +LUCIANO MONARI 16 feb 2016 00:00

Perseverare nella testimonianza verso questa società triste e senza futuro

Il vescovo Monari si è rivolto alla città e alla diocesi durante la festa dei Patroni Faustino e Giovita. "Perseveranti, dunque: così ci vuole il vangelo e così dobbiamo cercare di essere. Abbiamo una vita sola ma dobbiamo essere disposti a perderla pur di testimoniare Gesù Cristo e il vangelo". Leggi il testo integrale dell'omelia

Quand’ero giovane prete mi accadeva di provare disagio di fronte ad alcune critiche. Il vangelo, si diceva, contesta le grandezze mondane; la Chiesa, invece, è felicemente insediata nella società e gode di privilegi; tra il vangelo della croce e la Chiesa del potere c’è un abisso invalicabile.

Oggi, su questo versante, sono più tranquillo; questo problema è superato, e alla grande, dai fatti. Nella società attuale i cristiani non godono di troppa stima. C’è chi li considera dogmatici che hanno rinunciato all’uso della ragione e coi quali perciò non si può parlare, chi li considera ipocriti che nascondono i loro vizi con una dottrina morale esigente che non praticano, chi li considera superati e incapaci di cogliere il moto di liberazione progressiva dell’uomo che sta procedendo vittorioso con le trasformazioni del diritto e le innovazioni della tecnologia… Insomma, i cristiani non sono sulla cresta dell’onda e forse il calo delle vocazioni rispecchia anche questa situazione culturale. Siamo avviliti, allora? Abbiamo nostalgia dei bei tempi passati in cui potevamo dettare gli indirizzi alla vita sociale?

Riprendiamo il messaggio delle tre letture che abbiamo ascoltato: il profeta Zaccaria viene messo a morte nel cortile del tempio perché ha fatto il grillo parlante: ha accusato re e popolo di avere abbandonato il Signore, li ha messi davanti alle loro responsabilità. Il vangelo avverte i discepoli che la loro vita non sarà una serie di successi ma di prove sia a livello sociale (saranno flagellati nelle sinagoghe e denunciati davanti alle autorità civili) sia a livello familiare (soffriranno i contrasti tra fratelli, tra genitori e figli); arriva a dire, il vangelo: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome.” Solo a questo punto viene la parola di speranza: “ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato.” È qui che volevamo arrivare. Per la festa dei nostri patroni è stato scelto, quest’anno, il tema della perseveranza. Di questo parla il vangelo collegando la promessa della salvezza alla perseveranza e cioè alla capacità di rimanere saldi nella fede in mezzo alle tribolazioni, soffrendo con pazienza le accuse ingiuste, i giudizi, gli scherni.

Perseveranti, dunque: così ci vuole il vangelo e così dobbiamo cercare di essere. Abbiamo una vita sola ma dobbiamo essere disposti a perderla pur di testimoniare Gesù Cristo e il vangelo; dobbiamo essere così convinti del valore vangelo che gli insuccessi non ci smuovano dal nostro posto di combattimento. “Con questo o su di questo” dicevano le madri spartane consegnando lo scudo ai figli che andavano in guerra: dovranno tornare o vincitori con lo scudo o morti sopra lo scudo; ma guai ad abbandonare lo scudo e fuggire. L’immagine è un po’ retorica se la rapportiamo a noi; non lo è, però, se viene riferita ai tanti cristiani rapiti e uccisi in Iraq, in Siria, in Mali, in Nigeria… Davanti a questi nostri fratelli dobbiamo inchinarci con rispetto: hanno pagato a caro prezzo la loro appartenenza a Cristo; sono perseveranza vivente, la misura del valore della fede.

Ma noi? Noi, grazie a Dio e al nostro paese, non subiamo persecuzioni; abbiamo però un contesto culturale che ci diventa sempre più estraneo e credo non sia difficile capire che questo comporta sofferenze, dubbi, timori. Volete qualche esempio? Noi siamo convinti di dovere proteggere ogni forma di vita umana dal concepimento, ma viviamo in una società in cui lo Stato pratica regolarmente l’aborto, in cui si fanno crescere embrioni umani per usarli nella ricerca scientifica. Pensiamo, con Ippocrate, che l’arte medica debba servire solo a far vivere l’uomo e ci viene detto che l’arte medica deve imparare anche a far morire l’uomo quando la vita non appare più degna di essere vissuta. Crediamo nella famiglia come vocazione fondamentale della persona umana sessuata e ci troviamo in una società in cui la famiglia è un’alternativa accanto ad altre forme di convivenza. Affermiamo il significato procreativo della sessualità in una società in cui il sesso è piuttosto praticato, tanto da sembrare quasi un dovere, ma la procreazione è opzionale, bisognosa di giustificazione. Diciamo che ci si sposa per sempre e che la fedeltà è un impegno serio in una società dove il desiderio del momento è insindacabile e ha diritto di prevalere sulla promessa del passato e sul progetto del futuro.

Potrei continuare con gli esempi, ma credo siano sufficienti per comprendere che in questa società i cristiani non si sentono del tutto a casa loro. Tristi per questo? risentiti? Per niente! Abbiamo sempre detto che il mondo non è casa nostra ma una tenda nella quale dimoriamo provvisoriamente e adesso lo sperimentiamo davvero; abbiamo detto che la testimonianza vera non si fa con le parole, ma con uno stile di vita alternativo e adesso siamo costretti a praticarlo; abbiamo insegnato che l’amore tende, per il suo stesso dinamismo, verso l’oblatività, quindi il sacrificio di sé e adesso la necessità del sacrificio di sé ci si impone nella trama stessa della vita quotidiana.

Noi amiamo questo mondo e amiamo gli uomini di questo tempo. Proviamo a volte l’impulso a chiuderci sdegnosamente in noi stessi e sottrarci alla responsabilità per il mondo esterno, ma sappiamo che è una tentazione cui dobbiamo opporci. E se anche dovesse capitarci di dimenticarlo ce lo ricorderebbe sempre papa Francesco con il suo martellante ritornello: Chiesa in uscita, chiesa dei poveri, chiesa ospedale da campo, chiesa della misericordia e della tenerezza di Dio. E allora riprendiamo vigore e camminiamo “tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, come dice il Concilio citando sant’Agostino. Ci sostengono le parole consolanti di Paolo nella seconda lettura: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” Da Dio ci viene, come un dono immeritato, la giustizia; nel Signore risorto abbiamo un intercessore che trattiene la condanna. Tribolazione, angoscia, persecuzione, fame, nudità, pericolo, spada, per quanta paura ci facciano – e ce la fanno davvero – non sono in grado di privarci dell’amore di Cristo; sostenuti da questo amore perseveriamo nella fede e continuiamo a camminare nell’amore fraterno.

Ma i dubbi rinascono sotto altra forma: comportandoci in questo modo siamo perseveranti o siamo solo cocciuti, ostinati? Siamo fedeli a un vangelo che merita fiducia e fedeltà, o stiamo arroccandoci in difesa di rudere archeologico? Siamo attenti a capire che cosa sta succedendo attorno a noi, o stiamo invece nascondendo la testa sotto la sabbia? Ci facciamo spesso queste domande e non abbiamo risposte risolutive.

Alcune cose, però, sembrano chiare a cominciare dalla convinzione che lo stile della società attuale non ha futuro. È una società che lamenta la contrazione delle spese sociali ma spende una quota sempre maggiore delle sue ricchezze per rispondere a desideri individuali; proclama di voler ampliare gli spazi di libertà e moltiplica le forme di disagio psicologico, i casi di dipendenze; inquina per guadagnare di più, poi deve spendere di più per disinquinare; s’illude, aumentando le pene, di far diminuire i reati ma poi deve depenalizzare i reati perché non riesce a infliggere tutte le pene; non vuole a fare figli naturalmente ma impegna enormi risorse economiche e psicologiche per fare figli tecnologicamente. Insomma è una società incoerente, che vuole infantilmente la botte piena e la moglie ubriaca; e lo sa anche, perché i fatti sono sotto gli occhi di tutti, ma non ha nessuna voglia di cambiare perché la soddisfazione dei desideri dei singoli è diventata l’unica giustificazione della sua esistenza.

È una società triste che fa fatica ad amare la vita e perciò si attacca avidamente ai piaceri che possono distrarla dalla durezza della vita. È una società malata che sarà costretta a cambiare direzione di marcia se vuole sopravvivere. Non tornerà indietro, ma dovrà per forza trovare qualche valore non di pura facciata, che giustifichi la fatica di vivere, limiti l’individualismo e fondi il progetto di una società più umana.

Per questa società più umana la comunità cristiana vuole impegnarsi. Noi speriamo nella vita eterna; ma sappiamo che l’unico modo per entrare nella vita eterna è vivere bene la vita nel tempo, farla diventare prassi di giustizia e di amore. Non rinunciamo all’uso dell’intelligenza; sarebbe un’offesa a Dio che ce l’ha data – l’intelligenza – non perché la castriamo ma perché la usiamo correttamente. Non mortifichiamo i desideri che Dio ha posto nel cuore umano; al contrario, cerchiamo di armonizzarli perché contribuiscano a edificare una personalità equilibrata e non divisa in se stessa.

La fede, cioè la convinzione che il mondo è nato dall’amore di Dio e dall’amore è sostenuto nella sua esistenza, è per noi fonte di libertà di fronte a tutti i condizionamenti – paure e seduzioni – che assediano la vita dell’uomo. E mettiamo in conto anche la croce – cioè il sacrificio generoso della vita – come unica forza capace di portare il peso del male e far crescere, al suo posto, il bene. Questo è il contributo che la comunità cristiana può dare alla società in cui vive. A questo impegno e responsabilità sappiamo di dovere rimanere fedeli; e chiediamo umilmente il dono della perseveranza perché sappiamo che solo “chi persevererà fino alla fine sarà salvo.”


+LUCIANO MONARI 16 feb 2016 00:00