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Brescia
di ROMANO GUATTA CALDINI 11 giu 2016 00:00

Un "punto bianco " per sconfiggere il fondamentalismo

Farhad Bitani - ex capitano dell'esercito afghano, autore del volume "L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan" - è stato ospite, giovedì 9 giugno, della Fondazione San Benedetto

“La sua è la testimonianza di un cambiamento possibile e nello stesso tempo un atto d’accusa contro il fondamentalismo che dietro lo scudo dell’Islam, di un modo sbagliato di intendere la religione, pratica il sopruso, la violenza, come uniche leggi”: ha esordito il giornalista del Bresciaoggi Piergiorgio Chiarini introducendo Farhad Bitani, autore del volume, edito da Guaraldi "L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan", titolo che ha caratterizzato la serata organizzata dalla Fondazione San Benedetto, giovedì 9 maggio, al Centro pastorale Paolo VI. Classe 1986, ex capitano dell’esercito afghano, Farhad è nato e cresciuto immerso nella violenza, quella dei mujaheddin prima, suo padre era uno dei generali più in vista, e quella dei talebani poi, che sulla sua testa hanno lanciato una fatwa. Nel 2011 Bitani è sopravvissuto miracolosamente a un attentato in Afghanistan, ma le ferite provocategli dai colpi di Kalashnikov sembrano non bruciare tanto quanto il ricordo della sua giovinezza, il ricordo di quell’odio instillatogli da una visione distorta dell’Islam.

Proveniente da una famiglia potente, Bitani ha vissuto fra lo sfarzo delle ricchezze accumulate dai mujaheddin come fra l’estrema povertà a seguito dell’avvento del regime dei talebani. Dopo l’attentato, durante la convalescenza a Dubai, decide di lasciare tutto per prendere in mano una penna e raccontare la sua storia, la storia di una giovinezza vissuta a Kabul, nel cuore del fondamentalismo: lapidazioni, decapitazioni, taglio delle mani, frustate e cadaveri appesi sugli alberi lungo i viali della città erano all'ordine del giorno nell'inferno afghano. La sua, però, è anche la storia di una “conversione”, di “una riscoperta dell’Islam che passa attraverso il cristianesimo”, come lui stesso ha raccontato, attraverso quei piccoli gesti di cui è stato testimone in Italia.

E’ ancora piccolo Bitani, ha circa 3 tre anni quando, nel 1989, i sovietici lasciano l’Afghanistan. A cavallo fra il 1995 e il 1996 si incrina il potere dei mujaheddin e, con il supporto degli Emirati Arabi, il Pakistan e l’Arabia Saudita, in Afghanistan prendono piede i talebani. “La prima cosa che hanno fatto – ha sottolineato Bitani – è stato chiudere gli istituti scolastici per aprire le scuole coraniche dove ai ragazzi veniva fatto il lavaggio del cervello. Il secondo provvedimento è stato imporre il burka alle donne”. E’ nelle scuole che i mullah - impedendo la traduzione del Corano e insegnando una visione distorta dell’Islam incentrata solo sull’odio verso l’infedele - crescono le nuove generazioni di fondamentalisti.

“Il fondamentalismo è come un cancro – afferma oggi Bitani , non lascia il corpo finché non lo distrugge”. Perché privare le donne della loro libertà? “Una madre non darà mai consigli sbagliati al proprio figlio, privare della libertà una donna significa assicurarsi il controllo del figlio”. Oggi il fondamentalismo sta operando anche in Europa – ha evidenziato -, “sfruttando la mancanza di identità, l’ignoranza, un’integrazione che non funziona”.

Arginare l’odio da cui scaturisce la violenza è possibile, ma solo attraverso il dialogo, solo attraverso "un punto bianco nel cuore". Ne è convinto Bitani: “Avevo tutto, ma avevo anche un forte peso nel mio cuore. Ogni volta che io entravo in dialogo con gli altri cominciavo a conoscere me stesso. La prima domanda che mi sono posto è stata: chi sono io? Sono un musulmano. Per tutti i musulmani l’identità coincide con la religione. Io non avevo mai letto il Corano. Quando nel 2009 ho preso in mano la traduzione, tutto ciò che mi era stato insegnato non l’ho trovato”. E’ un Islam diverso quello che ha incontrato Bitani: “Oggi posso dire di essere orgogliosamente musulmano. Attraverso l’altro diverso da me ho incontrato il vero Dio e l’ho pregato di allontanarmi dalla mia vita passata”. Fra il 2011 e il 2012 Bitani lascia l’esercito afghano: “Non volevo più uccidere i miei simili, i miei fratelli. Volevo conoscere la bellezza dell’uomo attraverso gli altri, testimoniando la mia vita. Da allora ho deciso di non avere più paura perché il cuore dell’uomo è uno solo”.
ROMANO GUATTA CALDINI 11 giu 2016 00:00