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Brescia
di LUCIANO ZANARDINI 16 mar 2017 09:43

C'era una volta la pastorale giovanile

Oggi, nei nostri oratori, i sacerdoti faticano a costruire cammini continuativi per i giovani, ma questo non vuol dire che a livello diocesano non ci siano le proposte

Esiste una questione giovanile. Se così non fosse, la Chiesa non avrebbe pensato a un Sinodo dedicato in programma nel 2018. La premessa è che viviamo un tempo particolare che pone nuove sfide per la pastorale giovanile. Oggi, nei nostri oratori, i sacerdoti faticano a costruire cammini continuativi per i giovani, ma questo non vuol dire, come raccontiamo in queste pagine, che a livello diocesano non ci siano le proposte. Manca un po’ la lungimiranza nel far conoscere o nel promuovere esperienze, pellegrinaggi ed esercizi spirituali. Si avverte quasi in alcuni casi la paura di “perdere i giovani”, di non averli per le tante attività che ancora oggi gli oratori propongono per i più piccoli. Manca anche la capacità di passare da una pastorale prettamente aggregativa a una più formativa. Non è, però, solo un problema dei giovani, ma un tema che riveste tutte le nostre comunità. Che cosa resta, oggi, dell’esperienza degli esercizi spirituali? Nella Quaresima del 1992 il card. Martini scriveva una lettera a tutte le diocesi lombarde proprio sul tema “Gli esercizi spirituali e le nostre comunità cristiane”. Gli esercizi, sottolineava, non sono solo per gli eletti, ma devono trovare spazio all’interno della proposta formativa ordinaria. Gli esercizi sono ascolto, preghiera e silenzio. E oggi, come sottolinea il direttore dell’Eremo don Dino Capra, si fatica a pregare da soli, è più facile farlo in gruppo. Dobbiamo educarci a pregare da soli, a coltivare un rapporto intimo con Dio. Una pastorale a 360°. Non possiamo non pensare a una pastorale giovanile a 360° che punti alla formazione di una coscienza critica, consapevole e impegnata nel mondo. Ecco perchè è sempre più urgente avere uno sguardo d’insieme sulla scuola e sull’università, sulla pastorale sociale (con la formazione all’impegno politico) e su tutto quello che attiene al campo caritativo e assistenziale. Non dimentichiamoci che il nostro territorio offre, tra movimenti e associazioni, molti spazi per il protagonismo giovanile nel campo del volontariato.

Verso il Sinodo. Anche il Consiglio pastorale diocesano si è interrogato su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” a partire dalla riflessione di don Marco Mori, che ha spiegato come il documento preparatorio oggi ha sì dei limiti, ma dovrà essere arricchito dalle osservazioni delle Chiese locali e delle singole diocesi. Spostando lo sguardo, quindi, sulla dimensione diocesana, don Mori ricorda come il cammino di preparazione al Sinodo possa diventare occasione per rimettere al centro il tema della pastorale giovanile, non tanto per fare il punto della situazione ma per indicare anche possibili cammini per il futuro. Nell’ultima assemblea dei curati, tenuta nell’autunno del 2016, è emersa la considerazione che “la pastorale giovanile non esista più. I cammini strutturati di catechesi, annuncio ed esperienziali sempre più raramente sono patrimonio delle comunità. I ventenni, i giovani, sono i grandi dimenticati. Certo – ricorda don Mori – esistono proposte formulate da associazioni, università, mondo della scuola e mondo del lavoro, ma hanno una scarsa incidenza numerica”. Anche la stessa Scuola della Parola del Vescovo in Cattedrale, evidenzia ancora don Mori, vede la partecipazione di persone che non appartengono certo alla categoria dei giovani. La fatica di definire proposte “adeguate” all’età giovanile denuncia una prassi pastorale confusa. Non è però il momento di individuare le responsabilità, ma di lavorare insieme “per condividere punti di riferimento nella pastorale giovanile”. Questo lavoro comune richiede, come si legge nel documento, elementi strutturali e di processo per arrivare a definire cammini futuri. In questa prospettiva don Mori auspica un lavoro diocesano in vista del Sinodo capace di andare oltre l’elenco di ciò che esiste e di ciò che manca nel campo della pastorale giovanile, un ragionamento sereno e condiviso su come realizzare processi più grandi. I contesti abitati dai giovani. In una stagione di grande cambiamento come quella attuale, bisogna definire le situazioni oggettive in cui vivono i giovani. La sfida, per don Mori, “è quella di lasciarsi interrogare come comunità su cosa portano con sé i giovani e su quanto sia concesso loro di incidere sul cambiamento della comunità, su quanto queste sappiano aprirsi a uno stile che non porti al loro isolamento”.

Tra i possibili campi in cui i giovani possono essere risorsa per il cammino delle comunità ci sono sicuramente l’immigrazione e il lavoro, temi che toccano direttamente il loro vissuto. “Meglio di tutti gli altri i giovani sanno, già da adesso, trovare quell’equilibrio e quelle soluzioni per risolvere il falso problema dell’immigrazione. Anche in tema di lavoro i giovani hanno molto da dire perché si tratta di un problema che vivono sulla loro pelle. Sono due temi – continua don Mori – su cui le comunità, spesso caratterizzate da atteggiamenti di rassegnazione sbagliata, ritengono di non avere nulla da dire”. Prendersi cura. La Chiesa, questa l’esortazione del Sinodo, deve mettere al centro il tema del discernimento. Sono tre i passaggi: il riconoscere, l’interpretare e lo scegliere. “Le comunità devono fare in modo che ciò che i giovani vivono possa arrivare nella loro interiorità per essere di aiuto nelle scelte quotidiane. Il vero problema ecclesiale, prosegue don Mori, è quello di riorganizzarsi rispetto a questo processo nuovo che di fatto fa emergere la constatazione che l’ufficio di pastorale giovanile, così com’è strutturato, forse non serve più e ribadisce come al proposito il Vescovo abbia sollecitato la pastorale giovanile e quella delle vocazioni a ragionare insieme. Occorre tornare a camminare insieme ai giovani, a conoscere il loro vissuto, aprire linee di fiducia con loro, invitandoli anche a spendersi per gli altri per farsi interpreti dei loro bisogni, perché ci sono tanti vissuti esperienziali che sfuggono. Per questo, sottolinea ancora, la pastorale giovanile deve tornare a essere, come è sempre stata, campo di sperimentazione che va fatta in comunione, evitando la solitudine”.

LUCIANO ZANARDINI 16 mar 2017 09:43