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Brescia
di R. GUATTA CALDINI 10 giu 2016 00:00

Don Alessandro Savio. Un sacerdote ingegnere

Alessandro Savio è nato nel 1977. Dopo aver lasciato il lavoro in azienda entra in Seminario nel 2009. Ha svolto il servizio pastorale a Quinzano d’Oglio, a Brescia nella parrocchia delle Sante Capitanio e Gerosa e poi a Nave. Fra il 2015 e il 2016 ha svolto il servizio di diaconato a Marone

Carità, altruismo e vicinanza ai bisognosi: sono i termini che più si legano alle caratteristiche di Alessandro Savio, classe 1977. La sua è una vocazione adulta, maturata nel corso degli anni, ma i cui semi hanno iniziato a germogliare sin dall’infanzia. Cresciuto a Manerbio, prima ha conseguito il diploma di capo tecnico in elettronica, poi la laurea in ingegneria elettronica all’Università Statale di Brescia e, nel medesimo ateneo, il dottorato di ricerca in Ingegneria dell’informazione. Dopo aver lasciato il lavoro in azienda, entra in Seminario nel 2009. Ha svolto il tirocinio pastorale a Quinzano d’Oglio, a Brescia nella parrocchia delle Sante Capitanio e Gerosa e poi a Nave. Fra il 2015 e il 2016 ha svolto il servizio di diaconato a Marone.

Qual è stato il percorso intrapreso da Alessandro? Quali domande, quali sentimenti lo animavano?
Senza dubbio ci sono momenti nella vita di ognuno che segnano il corso dell’esistenza, cambiandone radicalmente il cammino. Talvolta, presi dalla routine quotidiana, è difficile cogliere i cambiamenti delle persone che ci sono accanto, i loro sentimenti, le loro aspirazioni. Sono segnali che però una guida spirituale coglie: “Lui, ancora da studente universitario e anche da laureato, ha assiduamente frequentato l’oratorio, facendosi guidare dai sacerdoti. Ha sempre avuto una vita spirituale molto intensa che
lasciava intendere un desiderio, finché poi ha avuto una chiarificazione” ha sottolineato mons. Tino Clementi, parroco di Manerbio, che, insieme a mons. Vincenzo Peroni, ha accompagnato Alessandro Savio nel cammino che oggi lo porta all’ordinazione. Quando è arrivato alla decisione di lasciare il lavoro: “Prima ne abbiamo parlato, poi è arrivato il momento in cui ha capito che la sua vocazione era questa, lasciare il lavoro per entrare in seminario”. Di Alessandro c’è una dimensione che non è passata inosservata:“È senza dubbio un ragazzo riflessivo, convinto per quanto riguarda la sua vita spirituale e la sua vita apostolica”. Sono molteplici le esperienze che secondo mons. Tino hanno influito nel cammino di Alessandro: “Ricordo le esperienze che ha fatto in oratorio, la sua disponibilità al catechismo, le esperienze che ha vissuto, come quella a Cottolengo dove ha frequentato gli esercizi spirituali”. “Alessandro – conclude mons. Tino – è un ragazzo che è sempre stato molto attento alla vita spirituale, sentiva dentro una chiamata finché non ha avuto
la chiarificazione”.

Una carriera universitaria di indubbio successo e un lavoro stabile sono obiettivi che tanti vorrebbero raggiungere. Eppure Alessandro sentiva che c’era qualcosa che ancora mancava. In questa intervista ripercorriamo i passi che lo hanno portato, all’età di 32 anni, ad entrare in Seminario. “La mia è sicuramente una vocazione adulta, già lavoravo. La scelta di fare ingegneria non è stata sbagliata, ne sono sempre stato convinto: ho studiato e lavorato con passione. Dopo gli studi in ingegneria ho fatto il dottorato di ricerca, quindi ancora qualche anno in università, poi, prima di entrare in seminario, gli ultimi due anni e mezzo ho lavorato in un’azienda. È in questi anni che è maturata la mia vocazione accompagnato da diverse persone, decidendo di lasciare il lavoro. Sicuramente non è stata una cosa facilissima, la crisi economica si era già palesata e quindi avere un’occupazione stabile da lasciare era una difficoltà in più, ma l’ho fatto affidandomi al Signore e di certo non sono rimasto deluso”.

È stato un cammino lento il tuo o a un certo punto è scattato qualcosa?
Con il senno di poi posso dire che è stato un percorso lento. Lasciare il lavoro è avvenuto, invece, d’improvviso, una decisione maturata in pochi mesi. L’approfondimento della mia vocazione è stato rapido, ma gli elementi che mi hanno portato a questa scelta c’erano sin dall’infanzia...

In questa scelta hanno influito delle persone, degli incontri?
Innanzitutto le persone con le quali ho camminato nel corso della mia vita, a partire dai miei amici, dai tanti preti incontrati quando vivevo a Manerbio. Ho sempre vissuto in oratorio, ho fatto catechismo, qualche attività estiva, il contatto con la parrocchia non è mai venuto meno. Ad influire maggiormente è stato l’incontro con don Vincenzo Peroni che è stato curato a Manerbio. In quegli anni mi ha preso per mano accompagnandomi nella ricerca di approfondimento della vocazione che al tempo non percepivo così chiaramente.
Hai svolto un anno di diaconato a Marone. Cosa ti lascia questa esperienza?
È un posto bellissimo, una bella comu nità, certo più piccola rispetto a Manerbio dove sono cresciuto. Penso che l’anno di diaconato sia fondamentale per approfondire ulteriormente la propria vocazione. Il sì definitivo arriva già con il diaconato, ma c’è sempre bisogno, quotidianamente direi, di approfondire questa vocazione, di ripetere il proprio sì. Rimanere per più giorni in una parrocchia mi ha permesso di confrontarmi, di stare a contatto con la gente, pronunciando questo sì di fronte a dei volti, a delle persone che, magari inconsapevolmente, mi hanno accompagnato: sono state testimonianze e prove per misurare la mia vocazione.

Cosa porterai dei tuoi studi, del tuo essere ingegnere, nell’ambito del sacerdozio?
Sia gli studi in ingegneria che il lavoro svolto prima di entrare in seminario sicuramente mi torneranno utili, il Signore non butta via nulla della nostra vita e in questo saprà poi Lui cosa fare. Certo, sarà qualcosa di molto pratico, non essenziale ai fini del ministero: sono nelle mani del Signore, saprà valorizzare anche queste capacità.

Ci sono figure spirituali a cui sei legato maggiormente?
Penso a don Bosco, poi l’essermi recato a Torino con la propedeutica, il primo anno, in un servizio di carità al “Cottolengo” mi ha permesso di approfondire la dimensione comunitaria, lo stare insieme ai giovani. Forse ha influito maggiormente la figura di San Giuseppe Cottolengo e questa dimensione legata alla carità. Oggi la società ha tanti bisogni, ci sono tante persone sole che hanno bisogno di essere accompagnate, avvicinate, anche solo per fornire una parola di conforto. Non si possono risolvere tutti i problemi delle persone sole, ma il farsi vicini diventa un elemento importante del ministero.
R. GUATTA CALDINI 10 giu 2016 00:00