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Brescia
di M.VENTURELLI 10 giu 2016 00:00

Don Stefano Ambrosini. La bellezza della fatica

Don Stefano Ambrosini, della parrocchia di Bornato, è nato a Brescia il 5 novembre 1990. È entrato in Seminario, dopo il diploma conseguito all’Ipsia Lorenzo Gigli di Rovato. Negli anni della formazione è stato in servizio a Capriano del Colle, a Nuvolera, a Zanano e all’unità pastorale di Rezzato S. Carlo, S. Giovanni Battista e Virle

Fatica. “Suona” strano iniziare il racconto di nove vocazioni al sacerdozio partendo da un vocabolo tanto scomodo. Eppure nelle spiegazioni che don Stefano Ambrosini, il primo (per stretto ordine alfabetico) dei giovani che il vescovo Monari ordinerà sacerdoti l’11 giugno prossimo in Cattedrale, questo termine non spaventa, anzi. Diventa quasi una bussola per affrontare con consapevolezza un cammino che, come tutti quelli che segnano la vita di uomini e donne, chiede responsabilità.

Quella che don Stefano, 25 anni, originario di Bornato, terzo di quattro fratelli, evoca non è, però, una fatica che paralizza. Nel racconto della storia della sua vocazione, assume sempre di più una valenza, una connotazione positiva, come se parlasse di quella fatica che mette in conto chi affronta una scalata in montagna, conscio del fatto che il sudore e la stanchezza della salita saranno poi ampiamente ripagate dagli scenari che gli apriranno davanti agli occhi...

“Oggi – racconta don Stefano Ambrosini – si fa fatica a fare fatica. Per tante persone, giovani e meno giovani, questa è una dimensione della vita che è meglio evitare”. Nella sua esperienza, invece, la fatica è sempre andata di pari passo con la crescita. “È stato così per gli anni della formazione scolastica – ricorda – con la scelta di un istituto professionale (l’Ipsia Lorenzo Gigli di Rovato, ndr) in cui ho avuto modo affiancare lo studio a quelle attività, anche manuali, atte all’apprendimento di una professione”. È stato così, probabilmente, anche per il tempo dedicato all’oratorio, visto che nella breve scheda biografica dell’ormai prossimo “novello sacerdote” si legge di un impegno con il Mato Grosso, realtà che affianca alla preghiera anche un impegno “fisico” per iniziative di solidarietà. “Grazie alla fatica – continua don Stefano – ho potuto prendere coscienza dei miei limiti, sono stato messo alla prova. Non fuggire dalla fatica, anche in quelle occasioni in cui mi è parsa di avvertirla come un peso un po’ gravoso, mi ha permesso di crescere”.
Non ha certo la presunzione di voler dettare la sua regola per inquadrare in una prospettiva positiva la fatica, eppure nelle sue parole c’è in qualche modo una via che può essere d’aiuto anche ad altri giovani, la via della gradualità: “Oggi la fatica è quella dell’alzarsi un po’ prima la mattina per pregare con gli altri compagni del Seminario – racconta – o la condivisione della vita comunitaria. Fatiche minime, certo, ma che ti aiutano, ti formano”. D’altra parte anche il più allenato tra gli atleti sa che la strada della gradualità, della progressione è la migliore per giungere a risultati importanti e duraturi...
Un allenamento che don Stefano Ambrosini ha avuto modo di svolgere in una palestra particolare com’è il Seminario diocesano. “Sì, dopo il diploma e con la prospettiva di un futuro da elettricista davanti a me – prosegue il suo racconto – nel 2009 ho scelto di entrare in Seminario”. Sarebbe banale, scontato, dire che la “chiamata” gli è giunta come una “scossa”. Banale e, probabilmente, sbagliato dal momento che dal racconto che fa della sua (ancora giovane) vita torna il tema della gradualità, della progressività. “I tempi non occupati dallo studio – prosegue – li ho sempre dedicati all’oratorio, tra attività missionaria, animazione e catechismo. Attività impegnative, certo, ma che mi consentivano di stare in mezzo alla gente, di vivere relazioni. Tutto ciò mi ha sempre dato quella gioia capace di fare dimenticare la fatica”. Con diploma nel cassetto, Stefano intuisce che quello che ha vissuto sino a quel momento non sono altro che “piccole scosse” che messe l’una accanto all’altra gli fanno capire che c’è una fonte di energia “più grande” che lo attrae, ma che deve ancora comprendere sino in fondo.

Gli anni del Seminario servono a don Stefano, come a generazioni e generazioni di sacerdoti prima di lui, per capire se questa sia la sua strada. “La strada della formazione al sacerdozio – conferma – è stata importante perché mi ha fatto prendere gradualmente coscienza che quella gioia, quello stare bene che provavo nel servizio al mio oratorio, mi chiamavano a un impegno più grande, a un cammino non certo semplice”. Dal quel 2009, anno del suo ingresso in Seminario, il percorso è stato lungo e impegnativo, sostenuto dalla vicinanza della comunità che l’ha accolto, dalla preghiera della comunità di origine e da una frase detta dalla mamma anni prima, forse preoccupata come tutte le mamme per il futuro del figlio. Quello “Stefano, ti è stato dato tanto, tanto ti sarà chiesto“ detto dalla mamma, che evidentemente ben conosce il vangelo di Luca, gli è stato di grande aiuto negli anni della formazione.
Facile immaginare che lo guiderà anche dal 12 giugno in poi, quando, fresco di ordinazione sarà chiamato al servizio pastorale, all’assunzione di precise responsabilità... “Certo, – è la sua risposta –, mi aiuterà ad affrontare un percorso che oggi mi esalta, mi dà la carica, la voglia di camminare e di fare sul serio, dopo gli anni della formazione. Mi aiuterà anche a sciogliere le preoccupazioni che pure non mancano, che possono creare fatica”.
E sempre in tema di fatica c’è un altro aspetto a cui don Stefano non si sottrae. La fatica di dare significato, per evitare di relegarla al rango di affermazione bella, suggestiva ma anche un po’ retorica, a quel costante rimando che fa alla sua famiglia e all’oratorio come luoghi in cui ha incontrato Gesù... “Forse il rischio di non riuscire a dare concretezza a quella che per me è una certezza – afferma al proposito – esiste. Non credo però servano grandi spiegazioni se non che la famiglia e l’oratorio, per me come per molti altri sono luoghi della quotidianità, quelli in cui ho avuto la fortuna di sperimentare relazioni autentiche, l’incontro con persone disponibili a mettersi al servizio degli altri, a testimoniare con gesti, con attenzioni, e azioni concrete quello che Gesù ci insegna con il Vangelo. Famiglia e oratorio sono stati per me l’occasione per comprendere quale sia la differenza tra un gruppo di persone che vive insieme e un gruppo che diventa comunità, che sperimenta la comunione. Sono state un punto di riferimento che mi ha aiutato a comprendere quale poteva essere la strada per il mio futuro”. Punti di riferimento che a don Stefano non verranno meno nemmeno dopo l’ordinazione dell’11 giugno prossimo in Cattedrale.
M.VENTURELLI 10 giu 2016 00:00