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Brescia
di LUIGI GAFFURINI 30 mar 2018 10:33

Il mio Paolo VI: Un incontro graduale

Nelle parole di Luigi Gaffurini la vicinanza al Papa bresciano

Avevo 15 anni e salutai l’elezione del bresciano Montini, Paolo VI, alla guida della Chiesa, con sentimenti di orgoglio campanilistico misto a un velo di rammarico per il “gap” di simpatia che sembrava pagare nei confronti con il suo predecessore Giovanni XXIII. Quello con Paolo VI è stato un “incontro” graduale, maturato nell’esperienza della vita, animato sempre dalla volontà di capire, per scegliere, per esserci. In occasione del “ponte” di San Giuseppe del 1969, con il gruppo degli impegnati nella parrocchia dei Cappuccini gita a Roma per un “particolarissimo” incontro con il Papa bresciano. Il nostro gruppo ebbe il privilegio di partecipare alla Santa Messa celebrata dal Papa in San Pietro. Eravamo vicinissimi al celebrante, tra l’altare e la Gloria del Bernini. Paolo VI ci citò ricordando i genitori sepolti al Vantiniano, sotto l’abside della chiesa del cimitero. Con l’età l’interesse e la comprensione delle parole e delle opere del Papa si fecero più mature e critiche. Ricordo le discussioni sull’“Humanae vitae”: sul luogo di lavoro, in parrocchia. C’era pudore a parlarne in famiglia e con la fidanzata, ma nello stesso tempo la accogliemmo come provocazione a capire di più: frequentavamo con un po’ di sacrificio gli incontri domenicali organizzati dal “Pro Familia” in via Calatafimi. Molti ne parlavano, pochi l’avevano letta. Il giudizio, veicolato dai giornali, si fondava quasi esclusivamente sull’accettazione e la pratica dei metodi anticoncezionali. Ricordo il disagio e la tristezza per giudizi e semplificazioni volgari che caratterizzarono quel dibattito. Fu una stagione travagliata anche quella dei primi anni ’70, quando le Acli in nome della fedeltà alla classe operaia in una stagione di grande malcontento decisero di recidere il legame con la Democrazia cristiana, segno dell’unità politica dei cattolici. Paolo VI dichiarò apertamente viva preoccupazione e disapprovazione. Egli, che era stato tra i principali promotori della nascita dell’associazione, annunciò con dolore la decisione di ritirare gli assistenti spirituali. Ne seguì un lungo periodo di rapporti non sempre facili a livello di parrocchie con pesanti ricadute organizzative e associative.

Accolsi con entusiasmo l’enciclica “Populorum progressio”, nella quale papa Montini, in una stagione di aspri e tragici scontri ideologici, indicava nel coraggio del confronto, nella lotta all’ingiustizia sociale, nel rispetto delle libertà individuali e dell’autodeterminazione dei popoli la via per creare la vera pace, garanzia di ordinato sviluppo e di reale progresso del mondo intero. Un messaggio forte e profetico che, anche in questo caso, non incontrò il favore dei potenti, delle parti politiche radicalmente ideologicizzate, delle parti sociali che sperimentavano la prepotenza capitalistica, dei popoli che vivevano l’oppressione del socialismo reale. In quegli anni era forte la convinzione e l’anelito per la conquista di autentica libertà, sviluppo economico ed equità sociale, autentica democrazia, affermazione della dignità della persona umana, definitivo superamento delle discriminazioni razziali e tutto questo in interi continenti. Quando le Brigate Rosse rapirono l’amico Aldo Moro fui profondamente colpito nel constatare con quanta profonda convinzione, con quanta dolorosa partecipazione Paolo VI avesse cercato di adoperarsi non solo per salvare la vita del presidente della Democrazione cristiana, ma per ribadire l’importanza e il valore assoluto dela vita umana, la dignità della persona, la libertà di tutti gli uomini.

LUIGI GAFFURINI 30 mar 2018 10:33