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Brescia
di LUCIANO ZANARDINI 15 set 2017 09:00

L’eredità più grande? Il Vangelo

Il vescovo Monari ripercorre i suoi 10 anni di episcopato nella diocesi di Brescia. Porta nel cuore l’incontro con i giovani e con i più piccoli. Domenica 17 settembre alle 18.30 la celebrazione eucaristica in diretta televisiva su Super Tv, Teletutto e TT2

“Mi sento di dire un grazie. Un grazie con tutto il cuore al presbiterio bresciano e a tutta la terra bresciana perché mi hanno accolto molto bene. L’accoglienza è stata piena”. Il vescovo Luciano Monari parte dai ringraziamenti per ricordare i suoi 10 anni a Brescia. Un periodo intenso, segnato da alcuni avvenimenti significativi. Basti pensare alla visita di Benedetto XVI, alla beatificazione di Paolo VI o all’avvio delle unità pastorali.


Eccellenza, cosa ha imparato in questi anni?

Ho imparato molte cose. Dai preti ho imparato un impegno notevolissimo nell’attività pastorale e un impegno grande negli oratori. Sono tutti aspetti che fanno parte della mia storia ma con declinazioni nuove. Credo di aver imparato tanto dal punto di vista di un’attività pastorale pensata, organizzata, progettata e attuata. Per quello che riguarda i laici, li ho ammirati per la serietà e l’impegno in campo economico e amministrativo. Il governo della città è impegnato con una buona tradizione e con un passato significativo. Mi sono trovato bene.


Lei ha portato in ogni suo incontro il dono della Parola partendo proprio dal suo motto (“Non mi vergogno del Vangelo”). Può essere questa la sua eredità?

Desidererei che fosse l’eredità più grande. Sono convinto che il Vangelo sia una ricchezza straordinaria per le persone perché dà un senso pieno alla vita e non mortifica niente di tutti quelli che sono i desideri umani autentici. Nello stesso tempo trasforma la propria vita in qualcosa di grande che diventa servizio e comunione con gli altri. Il Vangelo ha la forza di creare una comunità cioè di creare dei legami di riconoscimento reciproco: quando ti vedo, ti riconosco nella tua soggettività, nella tua libertà e nella tua responsabilità. E la società di questo ha un bisogno grande, soprattutto la società contemporanea. Una società vive se condivide una quantità sufficiente di valori, di esperienze e di abitudini. Ciascuno non va per conto suo. Ciascuno ha la sua vita, ma ci sono dimensioni di pensiero, di modi di fare e di sentire che sono comuni. Nella società contemporanea, che definiscono liquida, abbiamo bisogno di qualcosa che sia comune. Il Vangelo è una forza aggregativa enorme perché unifica le persone a partire da qualcosa che le precede. Prima delle mie decisioni, c’è il fatto che sono chiamato a esistere da un Signore del mondo che mi ama. E come ama me ama tutti. Avere in comune questo significa non sentirsi estranei gli uni nei confronti degli altri. Mi piacerebbe che la Parola di Dio, che annuncia l’amore di Dio e che chiama all’amore fraterno, si inserisse in maniera profonda nel tessuto bresciano.


Lei ha scritto “Un solo pane, un unico corpo”, una lettera sull’eucaristia. Oggi, purtroppo, assistiamo a una partecipazione sempre più minoritaria alla mensa eucaristica. Da dove dobbiamo ripartire?

Dalla comprensione dell’eucaristia. Il Signore ha inventato l’eucaristia per unire i suoi discepoli e farli diventare un cuore solo e un’anima sola. Ha messo il dono della sua vita dentro il segno di un pane da mangiare e un calice di vino da bere. Mangiando e bevendo, uno accoglie dentro di sé la vita di Gesù come amore donato. Non riusciamo più a parlare dell’eucaristia come un dovere… Andare a Messa è un arricchimento. L’eucaristia è fatta per unire le persone e costruire una società fraterna.


Ha avuto l’opportunità di conoscere ogni angolo della diocesi. In particolare, nell’ultimo periodo ha fatto delle vere e proprie visite pastorali per la costituzione delle unità pastorali?

La visita è stata molto gratificante. Ho trovato comunità che hanno capito e accettato il dinamismo della comunione, la percezione che il mettersi insieme non significa perdere qualcosa. Se riusciamo a partire dalla prospettiva che l’essenziale è riuscire a stabilire delle relazioni di comunione, delle relazioni autentiche con l’altro nel quale si riscopre anche la propria identità, allora le unità pastorali diventano desiderabili perché sono una crescita dell’esperienza di Chiesa. Ci sono state persone che hanno lavorato molti mesi per preparare le comunità. Ho trovato comunità convinte, non costrette. Convinte dalla dimensione della comunione che supera la visione ristretta della parrocchia. La parrocchia rimane, ma deve aprirsi al mondo attorno.


Ci sono tre momenti belli, tre immagini, che scorrono nella sua mente?

Ce ne sono tanti. Il primo è sicuramente la visita alle case per gli ammalati e gli anziani. È una gratificazione grossa incontrare queste persone che ti accolgono e sono contente di vederti. Poi, l’incontro con i bambini e con i giovani. Sono state esperienze enormi perché sono stato sollecitato a dire il Vangelo alle generazioni nuove, a dire perché secondo me il Vangelo è una ricchezza per loro. Infine, il giovedì santo. Per un Vescovo è il momento più significativo di tutto l’anno. Il Vescovo non esiste senza il presbiterio, senza un gruppo di preti che costituiscono con lui un unico soggetto della pastorale diocesana. Questo vale per la vita di tutti i giorni, ma si vede in particolare il giovedì santo. Il giovedì santo a Brescia è unico per il rapporto che si stabilisce con i sacerdoti nella celebrazione. Per me l’omelia del giovedì santo è sempre stata tra le più significative, quella in cui ci ho messo più attenzione e impegno. Mi sembra che sia decisiva per la formazione del presbiterio per capire dove stiamo andando. Il Vescovo non è mai così Vescovo come il giovedì santo con il presbiterio intorno.


C’è qualcosa che le sembra di non aver portato a termine?

Sono tante cose. La prima è la più grossa: la costituzione del presbiterio, di un corpo di persone ordinate che percepiscono il loro ministero come un ministero comune e quindi vivono insieme con questo un discorso di conoscenza, di comunione, di affetto e di aiuto reciproco. Questo è da creare. Siamo abituati al rapporto prete-parrocchia e meno al rapporto prete-presbiterio attorno al Vescovo. Non è strano che facciamo fatica. Faccio fatica io Vescovo a trovare i modi concreti di esprimere la vicinanza ai preti. Il vescovo è stato sempre percepito più come autorità che come comunione di fraternità. Si tratta di una rivoluzione nel modo di percepire il presbiterio. La seconda cosa è l’individuazione dei modi migliori per dire il Vangelo ai giovani e alla società di oggi. Oggi la società ha comportamenti nuovi rispetto alle nostre abitudini e fa più fatica a misurarsi con il Vangelo. Ma è a questa società che dobbiamo riuscire a far comprendere che il Vangelo è una sorgente di vita e non di morte. Anzi è una sorgente di sanità di fronte a un’esperienza che altrimenti rischia di ammalarsi. Ci sono molte malattie della società: sono quelle in cui la società invece di favorire la crescita delle persone suscita dei contrasti, delle angosce, delle paure e delle insoddisfazioni. È una società che tende a creare sofferenze individuali. Il Vangelo aiuta la società a diventare equilibrata e, quindi, sana e sanante, capace di aiutare i singoli a essere più fiduciosi con speranza e con capacità di relazioni di amore.


Il 18 settembre inizia un nuovo percorso...

Andrò ad abitare nella canonica del mio paese dove farò il curato. Al di là di questo, mi sono preso degli impegni per gli esercizi spirituali perché li ho sempre predicati e adesso ho più tempo. Ho molti libri che aspettano di essere letti. Mi piacerebbe continuare la conoscenza della Bibbia, scrivendo anche qualcosa di utile per gustare la Parola di Dio. Il pasticcio è che sono un po’ curioso…. Accanto ai libri di Sacra Scrittura, ho tutta una serie di interessi per la letteratura e per la filosofia: la lettura della Bibbia è arricchita se uno si porta dietro una serie di conoscenze, di stimoli e di idee. Per finire tutti i libri, dovrei arrivare a 320 anni…

LUCIANO ZANARDINI 15 set 2017 09:00