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Brescia
di LUCIANO ZANARDINI 02 ott 2020 08:12

Migranti, tra falsi miti e pastorale

“Come Gesù Cristo, costretti a fuggire”. Domenica 27 settembre in ogni parrocchia è stata celebrata la 106ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Anche la nostra Diocesi ha vissuto alcuni momenti significativi, tra cui la Messa presieduta sabato pomeriggio dal Vescovo nella parrocchia della Stocchetta in cui ha sede la Missio cum cura animarum per i fedeli migranti. Giuseppe Ungari, che da circa un mese ha iniziato il suo servizio come vice direttore dell’Ufficio per i migranti, racconta in questa intervista alcune prospettive pastorali.

Domenica abbiamo vissuto la Giornata del migrante e del rifugiato. C’è qualcosa che l’ha colpita in particolare delle iniziative bresciane?

Siamo riusciti a creare occasioni di riflessione proponendo qualificate iniziative che hanno attinto tanto al livello locale, con la presentazione alla Stocchetta del nuovo libro di Franco Valenti, “Migrazioni in Italia e nel mondo”, quanto a quello nazionale, con l’intervista a padre Fabio Baggio, sottosegretario del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Anche dal punto di vista contenutistico si è prestata attenzione tanto alla dimensione culturale, con gli eventi citati, quanto a quella più spirituale con la celebrazione dell’eucarestia presieduta dal Vescovo.

Sul tema dei migranti e dei rifugiati ci sono molti pregiudizi, qual è il cammino da intraprendere per sfatare alcuni miti?

Sicuramente bisogna imparare sempre più a ragionare partendo dai dati. C’è abbondanza di ricerca, di analisi, di approfondimenti statistici ed è indispensabile fondarsi su informazioni che, per quanto interpretabili, offrono elementi oggettivi. A partire dal sapere che la maggior parte dei migranti in Italia sono cristiani (2,9 milioni, pari quasi al 55% del totale degli stranieri residenti nel nostro Paese) o che in Lombardia ci sono 800mila contribuenti stranieri che, con le loro imposte, raggiungono versamenti fiscali pari a 13 miliardi di euro. Prima ancora di instaurare una dimensione empatica nei confronti del tema, è fondamentale avere un rigoroso approccio documentato che ci consenta di conoscere la realtà non per come la vorremmo (o non vorremmo) ma per quella che è.

Come Ufficio avete già in mente un percorso da seguire per formare le comunità?

Sono all’Ufficio per i migranti da solo un mese e mi piacerebbe anzitutto capire e conoscere le aspettative e le esigenze delle comunità parrocchiali della Diocesi. Pertanto anche alcuni corsi di formazione che fin da ora possiamo proporre ai Consigli pastorali e ai vari operatori parrocchiali vorrei fossero anche occasione per accogliere, incontrandoli, quanto può provenire in termini di richieste, ma anche di proposte, dalle diverse zone che, ovviamente, hanno peculiarità proprie molto diverse sul tema dei migranti. Un’ulteriore opportunità, poi, sarà la presentazione alla Diocesi, tra novembre e febbraio, di tre importanti rapporti redatti dalla Fondazione Migrantes.

Le comunità etniche di immigrati sono inserite oggi nella pastorale o rischiano di vivere isolate con una pastorale ad hoc?

Indubbiamente ad oggi l’attività delle comunità etniche e delle cappellanie è stata rivolta agli immigrati di prima generazione. A Brescia in questo c’è stata nei decenni passati una grande capacità di leggere il fenomeno della migrazione e accompagnarlo in modo tale da renderlo sintonico e sereno. Oggi è necessario, proseguendo questa peculiarità bresciana di sapere guardare avanti, essere coraggiosi e fare un passo ulteriore favorendo il pieno inserimento delle sorelle e dei fratelli di origine straniera nelle comunità parrocchiali e, auspico, nelle loro attività, anche attraverso l’inclusione negli organismi di partecipazione, con ruoli attivi nei più vari livelli della vita delle nostre parrocchie.

Il Centro Migranti è il braccio operativo: quali prospettive ci sono all’orizzonte per non essere solo uno sportello erogatore di servizi?

Il Centro Migranti continua ad essere uno strumento che ci permette di essere vicini agli stranieri attraverso un’operatività concreta che è altro dalla pastorale ma è essenziale per rispondere ai loro bisogni e, soprattutto, per offrire possibilità di relazione. Per evitare che il Centro sia solo un erogatore di servizi, quello su cui ci concentriamo è la modalità di approccio alla persona che dovrebbe essere diversa da ogni altro centro qualificato per assistere nelle pratiche burocratiche. Una modalità di accesso che ci permette di conoscere delle persone e attraverso di loro entrare anche in contatto con le comunità migranti, soprattutto con quelle a cui non siamo legati pastoralmente, ampliando la conoscenza delle realtà dei migranti presenti sul territorio.

LUCIANO ZANARDINI 02 ott 2020 08:12