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Istanbul
11 ott 2019 08:33

La Siria e la coscienza internazionale

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Da Baghdad dura presa di posizione del card. Sako. "Ci chiediamo dove vanno i nostri Paesi con questo peso di morte, di violenza, carichi come sono di vittime, di feriti, di famiglie distrutte, senza più case, scuole e infrastrutture”. La condanna della politica

L’offensiva unilaterale turca per colpire le milizie curde nelle zone di confine della Siria ancora in corso si sta trasformando in una vera e propria crisi internazionale. La forte condanna per la decisione di Erdogan oltre che dall’Onue e dalla Nato à giunta anche dall’amminstrazione statunitense, dall’Unione europea. Anche dalla Lega Araba, che si riunisce domani potrebbe arrivare una sconfessione dell’azione turca che, come si legge in una nota diffusa dall’Onu oltre che molte vittime tra i civili, avrebbe già costretto oltre 60mila persone alla fuga. Erdogan ha replicato ricordando che l’azione militare turca sarebbe unicamente finalizzata a debellare la presenza dell’Isis e all’Unione europea ha rivolto la minaccia, nemmeno troppo velata di indirizzare verso i suoi Paesi tre milioni di profughi siriani.

Ma quelle della politica non sono le uniche critiche alla Tirchia. “Come si può permettere ad uno Stato di invadere la terra di un suo vicino? Perché costringere intere popolazioni a fuggire in cerca di salvezza? Dove è finita la coscienza internazionale?”: da Baghgad, capitale irachena, è anche il patriarca caldeo Louis Raphael Sako a intervenire sull’invasione turca in Siria. “Di questo attacco se ne parlava da tempo – ha affermato cardinale –. Ora anche l’Iraq ha paura perché confiniamo con la Turchia. Purtroppo l’Occidente è timido e chiude gli occhi davanti alle sofferenze di uomini, donne, bambini. Sono tutti figli di Dio che devono essere rispettati nella loro dignità. Siamo tutti preoccupati e impauriti per quello che potrà accadere. Ci chiediamo dove vanno i nostri Paesi con questo peso di morte, di violenza, carichi come sono di vittime, di feriti, di famiglie distrutte, senza più case, scuole e infrastrutture”.

La preoccupazione del patriarca è naturalmente anche per l’Iraq scosso da giorni da manifestazioni di piazza per il carovita e la corruzione che hanno provocato oltre 100 morti e più di 6mila feriti. I manifestanti, moltissimi giovani, sono stati repressi duramente dalla Polizia e molti sarebbero stati uccisi da cecchini. Un carico di violenza che ha spinto il patriarca a lanciare un appello per pregare per la stabilità dell’Iraq e per tutte “le anime martiri dei manifestanti e per tutti i feriti”. Dal porporato anche l’invito a tutti di “assumersi la propria responsabilità nazionale e morale. Chiediamo a tutti i cittadini di unirsi per evitare che il Paese precipiti da un pendio sconosciuto. E’ urgente che i responsabili iracheni restaurino velocemente il processo politico con azioni e non solo con parole, come richiedevano i manifestanti pacifici. La violenza è assurda e non serve a costruire la pace. I problemi si risolvono solo con la saggezza di chi sa dialogare civilmente e mostrare una visione di un sano progetto nazionale per far uscire il paese dalla crisi”.

Secondo il card. Sako “i motivi di tutta questa distruzione risiedono innanzitutto in coloro che perseguono i propri interessi economici, politici, etnici e religiosi. Sono persone, anche religiose, che non riescono ad uscire da una visione tribale, medioevale, che non risponde alle attese del popolo. Così come il fondamentalismo e l’estremismo religioso. La violenza in nome della religione è un peccato, la corruzione è peccato, rubare è peccato. Il popolo è deluso ed è sceso in piazza. La gente ha fame, vive in miseria e chiede che fine fanno i proventi del petrolio. Vuole conoscere i piani di sviluppo, i progetti per scuole, ospedali, lavoro, infrastrutture”. L’Iraq ha bisogno di uno Stato moderno costruito sulla cittadinanza e sul rispetto dei diritti di tutti. Basta con i conflitti settari ed etnici, ogni cittadino ha diritto a vivere in pace, in libertà, in sicurezza e con dignità. Non ci sarà progresso se non si esce da questa visione tribale di cui parlavo prima. La Siria, l’Iraq, la Libia, lo Yemen sono Paesi ricchi di risorse e quindi capaci di donare prosperità ai loro abitanti e stabilità alla regione. Ma i loro politici sembrano non avere visioni politiche, idee e progetti, strategie da mettere in atto per progredire”.

Nonostante ciò il porporato vede “un cambiamento e una speranza”. Ma perché questo si realizzi è necessario che “le istituzioni pubbliche, le autorità religiose, quelle musulmane in testa, aiutino la gente a ragionare sulla fede e cercare un messaggio sociale e politico basato sulla tolleranza, sul rispetto della vita, sul diritto. L’Islam è chiamato a fare una riflessione di questo tipo, per cercare di capire dove è l’origine di tutto questo male, di tutti questi terroristi. E da lì arrivare a formare una nuova cultura, non rigida ma rispettosa, aperta e moderata”. “I manifestanti – ricorda il patriarca – hanno protestato anche contro tutti coloro che in nome della religione hanno rubato distruggendo il Paese”. Il patriarca invoca una presa di coscienza davanti ai mali che affliggono l’Iraq e non solo. “Tutti diciamo di avere fede ma fede e religione sono due cose diverse. Possiamo seguire una religione senza avere la fede. E chi ha fede non può uccidere, rubare, violentare. Commette questi crimini chi ha una religione senza fede e chi la sfrutta a fini personali”. Alla presa di coscienza deve seguire poi l’assunzione delle proprie responsabilità. Chiaro il pensiero del cardinale: “la piaga della corruzione si combatte con il rispetto e l’applicazione delle leggi. Chi contravviene deve essere arrestato. Per fare questo serve un Governo forte. Il denaro rubato deve essere recuperato e usato per il bene di tutti e non di pochi. In gioco ci sono centinaia di miliardi dollari. Dove sono finiti? Che cosa ci hanno fatto? Tutti sappiamo che non dobbiamo prendere ciò che non ci appartiene. Nelle scuole, nelle moschee, ovunque si deve lavorare per formare rettamente le coscienze delle persone. È un lavoro lungo ma non più procrastinabile”.

Un ultimo pensiero il patriarca Sako lo rivolge a Papa Francesco: “la sua volontà è chiara, vuole venire in Iraq per portare un messaggio di speranza e riconciliazione, nello spirito del documento sulla fraternità umana di Abu Dhabi. La sua presenza qui in Iraq sarebbe un grandioso gesto di pace non solo per noi ma per tutto il Medio Oriente, a cominciare dalla vicina Siria”.

11 ott 2019 08:33