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Padova
di L. ZANARDINI 03 dic 2015 00:00

"Chiamatemi Francesco" parla al cuore delle persone

Nello spirito di Papa Francesco il film di Daniele Luchetti si rivolge a pubblici diversi. Arianna Prevedello, vicepresidente dell'Acec, ha visto il film in anteprima e offre alcune chiavi di lettura interessanti

Non c’è il rischio di vedere un film agiografico, ma piuttosto c’è la concreta opportunità di calarsi in quel contesto culturale, l’Argentina della dittatura, nel quale è cresciuto e si è forgiato Jorge Mario Bergoglio.

Sono più di 120 le Sale della comunità che propongono, in accordo con la distribuzione Medusa, “Chiamatemi Francesco”. “Questo film – commenta Arianna Prevedello, vicepresidente dell’Acec – ha una dimensione di speranza e di fiducia nella vita. Ecco perché abbiamo scelto di promuoverlo nei paesi e nelle periferie. Sarebbe bello se ognuno di noi portasse con sé a vedere il film persone che hanno problemi, non solo di tipo economico, ma anche spirituali o emotivi, perché il film ci aiuta a credere, a credere prima di tutto nella vita. Ne vale la pena e può essere un bel regalo in questo periodo di Avvento”.

Arianna Prevedello, responsabile della comunicazione dell’Acec, è entusiasta di un film “capace di accontentare palati di pubblico molto diversi tra loro. È un film popolare, molto coinvolgente, ma ha anche una ricostruzione storica molto autorevole. Come Sale della comunità sentiamo una forte riconoscenza per questo film, perché riesce a raccontarci da dove viene la tenerezza e la fiducia che il Papa sa esprimere ogni giorno”.

Il regista Daniele Luchetti racconta fatti conosciuti e meno conosciuti legati alla dimensione drammatica della dittatura: “Possiamo ritrovare il Papa Francesco che ci siamo abituati ad ascoltare, ma allo stesso tempo riusciamo a capire da dove viene la sua grande capacità di mediazione e di dare speranza; questa capacità arriva da una forte esperienza di resilienza. C’è una fede grande che si è innestata in vicende dure”.

Sono tre le prospettive che spiccano: politica, sociale e spirituale. “Non è emerso un ‘santino’… Ci sono dei momenti in cui ci sentiamo in empatia con quello che viene raccontato. È un film e sappiamo che questo rischio è inevitabile. C’è una grande forma di coinvolgimento seria. Il regista parte dal desiderio di comprendere, partendo da una prospettiva laica, la figura di Francesco”.

Il film ci consente di leggere “un modo di essere cristiani imparato sulla strada con il popolo, scegliendo di stare nelle trincee dell’ingiustizia”.

Il Conclave fa da cornice al film con Bergoglio che pensa al prima e al dopo elezione. Anche a noi, forse, alla fine viene consegnata una domanda: “Da dove viene la nostra fede? In tal senso il film consente a ogni spettatore anche una lettura spirituale”.
L. ZANARDINI 03 dic 2015 00:00