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Brescia
di ROMANO GUATTA CALDINI 14 mar 2018 20:58

Il mistero "Di un uomo"

Lunedì 12 marzo al Centro pastorale Paolo VI è stato presentato il libro di Graziano Tarantini, presidente della Fondazione San Benedetto, «Di un uomo – Leopardi, Dostoevskij, Pasolini» di Graziano Tarantini, edito da Edizioni Els La Scuola

E’ un invito alla lettura come concreta esperienza di vita. E' un viaggio in diverse epoche attraverso le pagine di Leopardi, Dostoevskij e Pasolini. Ma è innanzitutto la storia “Di uomo”, titolo del libro scritto dal presidente della Fondazione San Benedetto Graziano Tarantini, e della sua “amicizia” con i tre giganti della letteratura, intesa come arte del racconto della realtà e, al contempo, luogo dell'imprevedibile e dello stupore.


“All’origine di ogni riflessione c’è la sensazione che gli autori ti parlino delle cose della tua vita, a volte confermando il tuo sentire, dandogli più forza, altre volte mettendoti in difficoltà, proprio come quando si parla con un amico. I tre scrittori di cui parliamo furono tutti appassionati della verità: un’attitudine che li ha resi, per Tarantini, veri compagni di viaggio”. Così ha esordito Nicola Rocchi, direttore di Ab Atlante Bresciano, che ha introdotto la serata di presentazione del volume che si è tenuta lunedì scorso al Centro pastorale Paolo VI.


“Ho sperato che Graziano Tarantini si decidesse a porre in essere questo libro. Era già presente nelle nostre conversazioni, nelle tracce delle sue riflessioni”, ha sottolineato Marco Cangiotti, ordinario di Filosofia politica all'Università di Urbino, amico di vecchia data dell’autore, a cui è stato affidato il compito di curare l’introduzione. “Questo libro è adatto a orientare chi è in cerca di qualche guida. Oggi viviamo non un’epoca di passaggio ma un passaggio d’epoca, e in tale frangente sono d’accordo con quanto rimarcato da papa Francesco. Quando c’è un passaggio epocale le tinte sono chiaro scure, può prevalere la luce come l’ombra. L’elemento decisivo non è rappresentato tanto dalla politica o dall’economia, di per sé importantissime, ma c’è qualcosa di molto più radicale: la questione intorno all’umano”. Sullo sfondo si staglia un interrogativo: “Da che cosa dipendiamo? Lo scenario che si apre è immenso”. L’uomo non può esimersi dal porsi tale domanda da cui – secondo Cangiotti – trae origine l’irrequietezza umana, la stessa che ha spinto Tarantini a dialogare con gli autori che hanno affrontato sino in fondo la questione fornendo risposte diversissime. Oggi più che mai è necessario “uno sguardo compassionevole verso se stessi”. La prima missione della cultura è “prendersi cura della realtà, prendersi cura dell’uomo” e “il libro di Tarantini è un esempio dell’unico e vero modo di fare cultura”. “La luce – chiosa Cangiotti – può vincere solo nella misura in cui abbiamo il coraggio di compiere il cammino verso noi stessi e la notizia, come insegna l'autore, è che possiamo compierlo in buona compagnia”.


Da una lettura, spesso, scaturiscono altre letture. E’ quello che è successo all’attore Franco Branciaroli, anche lui al tavolo dei relatori. Dalle pagine “Di un uomo” è nata “una contrapposizione fra Dostoevskij e Nabokov – spiega l'attore – una rilettura di Severino su Leopardi, che a sua volta si collega a Nietzsche. E con Pasolini ‘un volo’ sul ‘68. Un libro come questo può suscitare affascinanti cortocircuiti di cose che tu avevi imparato ma che ancora non eri stato in grado di collegare”.


Se è vero che sin dall’infanzia, a partire da Leopardi, Tarantini ha instaurato un rapporto amicale con gli autori trattatati, è altrettanto vero che, al loro cospetto prova ancora una sorta di timore reverenziale. “Ho avuto paura ad affrontare Dostoevskij – ha affermato Tarantini –. Anche quando scrivo, se devo usare la terza persona, lo scrittore russo, non riesco, ho bisogno di chiamarlo Dostoevskij”. La stessa cosa vale per Leopardi e Pasolini. “Sono nato in un luogo in cui la morte è chiamata sorella morte… Quando starò male mi sosterrà Dostoevskij? Me lo sono sempre domandato. Quando mi capita di star male non ho neanche la forza di leggerlo. Questo, per dire che nemmeno Dostoevskij può essere la risposta ma è di certo un viatico”. La letteratura come esperienza del reale. E’ questa l’interpretazione che il presidente della Fondazione San Benedetto dà alla lettura, basandosi su fatti concreti, esperienze di vita vissuta, come, ad esempio, gli incontri del Mese Letterario, la rassegna della realtà di Borgo Whurer che ad aprile giunge alla IX edizione. Perché questi tre autori? “Hanno tutti un motivo di vita. Sono nato in Abruzzo, una regione svantaggiata, ma fra le più belle al mondo. Vedevo il mare, vedevo questa sproporzione, e mi sentito infinitamente piccolo rispetto a quanto potesse accadere, come se fossi un pulviscolo nell’atmosfera. Da Leopardi, dal suo Infinito, imparai a esprimere quello che sentivo. Dostoevskij mi fece capire che il problema era la distanza che intercorreva fra la mia testa e il mio cuore, portandomi nelle profondità”. E Pasolini? “Mi piaceva perché era una persona scevra da pregiudizi, sentiva tutto il peso del suo dramma personale e dell’umanità. In qualche modo era alla ricerca di qualcosa che gli potesse corrispondere. Attraverso la storia sentiva che qualcosa veniva superato in spregio dell’umano”.


Tra le fascinazioni per Leopardi, Dostoevskij e Pasolini, l’autore ricorda gli incontri che hanno cambiato la sua vita. Tarantini cita don Italo Mancini e don Giussani,fondatore, quest’ultimo, di Comunione e Liberazione che gli ha insegnato la “possibilità di un umano non solo come un’esperienza ascetica, ma qualcosa di storicamente tangibile”. Il problema di fondo – sostiene l'autore – è il rapporto con la libertà. “Dostoevskij non accetta alcuna riduzione, non è un fideista, è, invece, un esaltatore della libertà”. In quest’ottica il presidente della Fondazione San Benedetto ricorda il dialogo, tratto da “Delitto e castigo”, tra il giudice Porfirij e Raskolnikov. “L’inferno e il paradiso – sottolinea l'autore – non sono il punto finale della vita, accadono subito. Il nostro cuore è un campo di battaglia fra il bene e il male ma senza la libertà e una verifica personale l’uomo non può scegliere”. Quest’esperienza è necessaria: “Io, e per questo sarò sempre grato - aggiunge - l’ho sperimentata attraverso lo sguardo di don Giussani e attraverso quello di chi lo aveva conosciuto”.

 

ROMANO GUATTA CALDINI 14 mar 2018 20:58