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Brescia
di LUCIANO COSTA 29 mar 2019 10:32

Tre Soncini nel segno di S. Pavoni

Una recente pubblicazione riporta in luce il grande discorso assistenziale voluto dal fondatore della Congregazione dei “Figli di Maria Immacolata”

Sullo sfondo c’è la mirabile figura di padre Lodovico Pavoni, di cui il 1° aprile prossimo ricorrerà il 170° anniversario della morte, bresciano di nobile origine e precursore dell’idea che ai giovani non bastava assicurare il classico sapere ma che era necessario aggiungervi una formazione al lavoro precisa e coraggiosa, dentro il quadro quel Pio Istituto San Barnaba “ove almeno gli orfani o trascurati dai propri genitori vengano accolti, gratuitamente mantenuti, cristianamente educati e fatti abili al lavoro per renderli cari alla religione, utili alla società e allo Stato”. Era il 1821 e don Lodovico, allora anche segretario del vescovo Nava, venduta la sua parte di eredità e messo a disposizione il suo stipendio di canonico, improvvisandosi muratore prepara, con l’aiuto di alcuni giovani, aule, officine e alloggi in cui accogliere ragazzi e giovani altrimenti destinati alla strada. Al fianco della chiesa di san Barnaba (oggi auditorium) nel 1824 entrò in funzione la prima scuola tipografica italiana a cui s’aggiunsero i corsi di formazione per tipografo, legatore di libri, cartolaio, fabbro ferraio, falegname, argentiere, intagliatore, tornitore, calzolaio e sarto. Negli anni successivi rifulse la carità di don Lodovico che l’epidemia di colera del 1836 rese ancora più evidente e utile alla città. Quel modo di esercitare carità favorisce, nel 1837, l’apertura del Pio Istituto ad alcuni ragazzi sordomuti “perché imparino un mestiere accanto agli altri ragazzi” e perché fosse chiara la sua volontà, don Lodovico cercò subito d’imparare il linguaggio dei segni.

Relazione. Un libro di recente pubblicazione (“Tre Soncini esemplari”, cenni biografici con particolare attenzione alla loro presidenza del Pio Istituto Pavoni”), scritto da Giovanni Soncini riprende il “grande discorso assistenziale e caritatevole” iniziato da padre Lodovico Pavoni e lo mette in relazione con tre personaggi bresciani – Antonio, suo figlio Giovanni e suo nipote Antonio – che di “quel prete” hanno seguito l’esempio e le tracce, rendendogli onore e assicurando alla città di Brescia un’istituzione di assistenza e recupero che “per molti decenni non ebbe uguali in Italia e in Europa”.

Antonio. Antonio, il primo dei tre Soncini di cui si occupa il libro, era, oltre che di nobile casato, anche avvocato di grande valore. Chiamato dal vescovo Girolamo Verzeri a far parte della Congrega della Carità Apostolica, nel 1873 divenne primo presidente del Pio Istituto Pavoni, confermandogli “tutti pregi di cui il fondatore lo aveva circondato” e assicurandogli la possibilità “di essere al fianco dei sordomuti nel loro cammino di emancipazione e di inserimento nella società”. Il secondo dei Soncini raccontati nel libro è Giovanni, figlio di Antonio, che alla presidenza del Pio Istituto Pavoni venne chiamato alla fine del 1902, dopo la morte del commendator Ballini. Giovanni fu presidente e benefattore dell’Istituto fino al 1942, anno della sua morte. Il terzo dei Soncini raccontati è Antonio, nipote del primo e anche lui destinato alla presidenza del Pio istituto Pavoni quando, tre mesi dopo la morte dello zio, la Provincia lo nominò suo rappresentante nella Commissione amministratrice della benefica istituzione.

Effetti. Prima era stato allievo ufficiale del Regio esercito in zone di guerra, tenente degli alpini, combattente in Albania, orgoglioso di agire “col cuore e la generosità che contrassegnavano ogni appartenente al corpo alpino”, fiero dell’amicizia che lo legava a personaggi bresciani tra i quali spiccavano Piero Arici, padre Giulio Bevilacqua, Renato Calini Carini, Antonio Cottinelli, Augusto Materzanini e padre Ottorino Marcolini. Chiusa la sua esperienza di presidente, Antonio continuò la sua opera pubblica come membro del comitato di sconto della Banca San Paolo, come sindaco effettivo dei Magazzini Generali e come consigliere della Cooperativa Farmaceutica Bresciana. Antonio morì nel 1976 dopo alcuni anni di malattia, che però mai gli impedirono di esercitare la generosità che sempre l’aveva contraddistinto Il libro racconta, scandaglia, suggerisce pensieri e riflessioni; leggerlo significa immergersi in un mondo che non c’è più ma che ancora consente di respirarne i benefici effetti.

LUCIANO COSTA 29 mar 2019 10:32