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Brescia
di REDAZIONE ONLINE 09 gen 2015 00:00

Morti bianche: il triste primato di Brescia

Ricomincia anche nel 2015 la triste conta dei decessi sul posto di lavoro. Secondo il presidente dell'Anmil Angelo Piovanelli occorre un maggiore sforzo sul fronte della prevenzione e dell'aggiornamento

E’ di mercoledì scorso il primo decesso dell’anno sul posto di lavoro. La vittima, un 43enne bresciano, è stato travolto da un tubo del teleriscaldamento in un cantiere alla periferia della città. Si riapre così la triste conta delle morti bianche. Su scala nazionale Brescia rimane in cima alle classifiche. Prevenzione e costante aggiornamento in tema di sicurezza sono i fattori che possono fare la differenza. I numeri, di per sé già alti delle "morti bianche", considerate le nuove indicazioni Inail, sono maggiori di quanto si pensi. L’Istituto ha infatti riconosciuto quali “morti bianche” alcune tipologie di decessi che prima non venivano conteggiati. Ne abbiamo parlato con Angelo Piovanelli, presidente provinciale e regionale dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi sul lavoro

A Brescia qual è la situazione? Come si attesta su scala nazionale?
Purtroppo su scala nazionale Brescia rimane sempre in cima alle classifiche, in fatto di morti bianche, e purtroppo anche nel 2014, rispetto al 2013, il trend è rimasto pressoché identico. Bisogna assolutamente assumere iniziative più forti, sia da parte delle istituzioni che da parte dei datori di lavoro.

Quali sono le buone pratiche per evitare che sui posti di lavoro si verifichino incidenti mortali?
Ultimamente, di fronte ai luoghi di lavoro che sono sicuramente più sicuri rispetto al passato, a influire molto sugli infortuni sono i comportamenti adottati dalle persone. Si deve intervenire in termini di educazione a comportamenti corretti. Serve una cultura delle prevenzione. Una cultura che sia diffusa anche fra i lavoratori extracomunitari che hanno più difficoltà a interpretare le norme, come a capire la lingua, o i semplici cartelli indicatori.

Come Anmil avete approntato un progetto pilota…
Con l’Associazione siamo presenti in tutte le scuole di ogni ordine e grado. La nostra attenzione è puntata in maniera particolare alle scuole elementari, dove si semina di più e si raccoglie di più. I piccoli assimilano di più rispetto agli altri, nella prospettiva futura possono dare una maggiore risposta. Abbiamo poi chiesto anche un aiuto alle istituzioni di adesione all’Anmil in qualità di soci affinché possano fare da cassa di risonanza su questo tema: gli infortuni e le morti sul lavoro sono temi che riguardano non solo le vittime, ma tutta la comunità, perché i costi, economici e sociali, ricascano su tutti.

Quali sono i consigli che si sente di dare agli imprenditori, ai datori di lavoro?
Sicuramente una maggiore responsabilità e anche laddove, per problemi economici, non si riesce ad adeguare i luoghi di lavoro con sistemi di sicurezza più moderni, chiediamo uno sforzo maggiore, magari ricorrendo ai contributi Inail, attingendo a queste risorse. Poi bisogna considerare che in Italia il 40% dei decessi sul posto di lavoro avviene sui mezzi di trasporto. Questo significa che quando si parla di incidenti stradali, le persone coinvolte sono sulla strada per lavoro… Spesso nelle statistiche questi incidenti non vengono conteggiati. Così come non vengono conteggiate le malattie professionali. Ci sono persone che muoiono a causa di malattie contratte sul luogo di lavoro, ma questi decessi non risultano nelle statistiche Inail perché non lo prevedono. Ecco perché noi nel 2014 abbiamo dato un’indicazione molto differente rispetto al 2013. Nel 2014 i morti sono stati 43, perché abbiamo compreso le malattie professionali, i decessi in itinere, compresi i decessi delle casalinghe (donne che muoiono durante l’esplicazione dei lavori di casa), anch’essi non conteggiati nei dati Inail. Per questo il fenomeno è molto più ampio di quanto si pensi.

C’è una malattia contratta sul posto di lavoro che compare di frequente nelle statistiche?
In particolare le malattie legate ai prodotti chimici. Fino a pochi anni fa le malattie professionali non venivano riconosciute come tali da parte dell’Inail, anche se ultimamente c’è un’inversione di tendenza. In questo senso viene ad aumentare il numero delle “morti bianche”.
REDAZIONE ONLINE 09 gen 2015 00:00