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Brescia
di +LUCIANO MONARI 30 mar 2015 00:00

Monari alla Veglia delle Palme invita i giovani bresciani ad avere un cuore puro

"Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. La promessa è immensa; ma la richiesta è impegnativa. Riusciremo a viverla?" . Il vescovo Monari ha incontrato i giovani della Diocesi in Piazza Paolo VI per la Veglia delle Palme in occasione della XXX Giornata mondiale della Gioventù. Leggi il testo integrale della riflessione.

Poter vedere Dio! Essere ammessi alla sua presenza per lodarlo, benedirlo, servirlo; poter gioire del suo favore e ricevere da Lui la benedizione, la vita, la pienezza della gioia! Questo è il desiderio che abita il cuore dell’uomo e che, a volte, trova espressione nella preghiera dei giusti: “O Dio, Tu sei il mio Dio, fin dall’aurora io ti cerco; ha sete di te la mia anima, desidera te la mia carne come terra assetata, arida, senz’acqua….“ Non si tratta anzitutto di fare esperienze mistiche ma di stare permanentemente vicino a Dio, di sperimentare la sicurezza che viene dalla sua protezione, di intravedere la sua bellezza, di conoscere la gioia di vivere, di lavorare, di amare in comunione con Lui. La bellezza del cielo stellato e la profondità della coscienza dell’uomo, la gioia dell’innamorato e quella del bambino che gioca, lo stupore dell’opera d’arte e l’incanto della musica, tutto questo insieme allude alla ricchezza del mistero di Dio creatore e ideatore di tutto. Come se i tanti desideri che riempiono l’immaginazione si raccogliessero in un unico grande desiderio e questo fosse esaudito abbondantemente; come se le mille speranze che rendono desiderabile il futuro diventassero un’unica grande speranza e questa fosse raggiunta nella gioia. Forse solo il cuore di un innamorato sa che cosa significhi poter vedere il volto dell’amata e gioire semplicemente della sua presenza, del suo affetto, del suo sguardo. Perciò dice: “Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidarmi, mi conducano alla tua santa montagna, alla tua dimora. Verrò all’altare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo.”

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. C’è dunque una condizione per essere ammessi alla presenza di Dio e godere la gioia del suo volto. Non si richiede di compiere riti magici, nemmeno di pronunciare parole misteriose; la condizione è etica: essere puri di cuore. Ma che cosa significa essere puri di cuore? Per comprenderlo basta ricordare le parole di Gesù: “Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo.” (Mc 7,21-23) Il cuore è immaginato come il centro dell’uomo, l’origine dei suoi pensieri, desideri, scelte; nel cuore prendono forma quei comportamenti che, poco alla volta, danno costruiscono la persona umana e la fanno diventare quello che è; nel cuore nascono la fedeltà e il tradimento, la simpatia e l’aggressività, la collaborazione e il conflitto, tutti i progetti di bene o di male. Purificare il cuore significa anzitutto prendere coscienza di questo complesso di sentimenti – buoni e cattivi – che dentro di noi s’intrecciano, si combattono, si correggono a vicenda. Aveva ragione Geremia quando diceva: “Niente è più infido del cuore e difficilmente guaribile! Chi lo può conoscere?” e ascoltava la risposta: “Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori.” (Ger 17,9-10) Se siamo attenti e sinceri, non ci facciamo illusioni: abbiamo un cuore che sa commuoversi e provare compassione, ma che sa anche indurirsi e diventare crudele. A volte, di fronte ai fatti sanguinosi di cronaca, si rimane sconcertati a chiedersi: “Come è possibile? Come è possibile che un cuore umano giunga a un tale livello di cattiveria, di odio, di rancore?” Eppure è possibile; e non solo a qualche persona particolarmente malvagia, ma a ciascuno di noi. Il cuore è luogo della libertà; essere liberi significa poter desiderare e compiere il bene; ma significa anche potere piegarsi al male scegliendo di dare corpo ai risentimenti e all’odio. Quanto più grande è la capacità di amare tanto più grande diventa anche la possibilità di odiare; non è possibile bloccare la propria libertà sul tasto del ‘bene’, rendendola incapace di fare il male.

C’è, però, la possibilità (e il dovere) di educare la propria libertà, di farle assaporare la gioia del bene, della solidarietà verso gli altri. Ogni scelta buona che l’uomo compie lo rende un poco più incline al bene; e ogni scelta cattiva che l’uomo compie lo rende un poco più incline al male. È una legge del cuore umano alla quale non è possibile sfuggire; noi, il nostro cuore, siamo il risultato delle scelte libere che abbiamo fatto e che ogni giorno facciamo nella nostra vita. Per questo è così importante l’ascesi. Ascesi significa esercizio; è ascesi l’esercizio fisico fatto in palestra col quale si rende più forte e agile il corpo; è ascesi lo studio con cui si rende più acuta e riflessiva la mente; è ascesi la decisione con cui si rinuncia a molte possibilità per sceglierne ed esplorarne una sola. Nello stesso modo è ascesi lo sforzo con cui si diventa padroni di se stessi e dei propri impulsi, si allargano gli spazi della libertà concreta e si acquista una più costante inclinazione al bene.
Un maggiore spazio di libertà, anzitutto. Ci sono comportamenti che creano dipendenza e si deve essere sinceri con se stessi: alcool, fumo, droga, gioco, pornografia…; poi linguaggio scurrile, sentimenti grossolani, mancanza di rispetto tendono a diventare abitudini negative, che contraggono lo spazio concreto della libertà. Per vincere è indispensabile un’ascesi effettiva, fatta anzitutto di convinzione ma poi anche di rinuncia. Respingendo la facile scappatoia: “Rimango sempre libero.

Posso smettere quando voglio; sono io che decido.” Ma questa affermazione è vera solo dopo che l’abbiamo attuata, non prima. Se ho smesso davvero, se non sogno il ritorno all’abitudine negativa, allora dimostro davvero che “posso smettere quando voglio”; ma fino a che il comportamento permane e fino a che il desiderio occupa l’immaginazione, la libertà è diminuita. Debbo essere sincero con me stesso se voglio avere una chance di guarigione e di crescita, se voglio diventare davvero libero. I cristiani di Corinto vivevano in un contesto sociale che giustificava senza grandi problemi la prostituzione; immersi in questo ambiente, si adattavano anch’essi alla mentalità comune e si giustificavano proprio facendo appello alla loro libertà: “Tutto mi è lecito”; a loro Paolo rispondeva: “Ma non tutto giova” e aggiungeva: “Io non mi lascerò dominare da nulla.” Questa è la strada della libertà. Se la vuoi percorrere, non insediarti sulla linea sottile che separa ciò che è lecito da ciò non è lecito; camminando su questa strada è facile stazionare nella mediocrità e, nelle situazioni critiche, cadere nell’errore e nel male. Piuttosto cerca di tendere a quello che giova, che rende più umani nel sentimenti e nelle decisioni. Detto banalmente: non mirare a prendere sei meno meno, a diventare una persona mediocre, perché solo che tu sbagli una virgola ti troverai nell’insufficienza e la ripresa apparirà ardua e faticosa; mira al dieci e lode, a essere una persona completa, perché allora, anche se dovesse accaderti qualche debolezza, ti troverai pur sempre al nove, all’otto, al sette e il recupero sarà facile.

“Io non mi lascerò dominare da nulla” scrive san Paolo. Il mondo è messo nelle mani dell’uomo perché l’uomo ne usi saggiamente per arricchire la vita sua e degli altri. Il rischio è che il mondo, con tutto ciò che contiene, appaia all’uomo così seducente da invadere il cuore, occupare totalmente i suoi desideri e dirigerli. Buona cosa è il denaro fino a che serve a realizzare progetti pensati con saggezza e perseguiti con amore; pessima cosa è il denaro quando decide lui quello che l’uomo deve fare o non deve fare. È così per l’avaro che non riuscirà mai a fare una scelta che gli produca una perdita economica – anche se la scelta fosse buona; che sarà trascinato irresistibilmente verso ciò che lo rende più ricco – anche se si trattasse di azione disonesta. Buona cosa è il successo quando sanziona la positività di una scelta, di un impegno; ma pessima cosa è il successo quando spinge ai compromessi per ottenere una riuscita o strappare un applauso. E così via: un uomo libero, che usa le cose e non si lascia irretire da loro. So bene che non è facile e che la vita, con tutte le sue fragilità e paure, spinge ad attaccarsi a ogni esperienza gradevole; ma sono convinto che la verità dell’uomo risplende nella sua libertà e nella sua capacità di amare – una condizione dell’altra.

Torniamo all’elenco di ciò che esce dal cuore non ancora educato: Tre termini fanno riferimento al campo della sessualità: impurità, adulteri, dissolutezza. Non è facile oggi parlare di queste cose perché sembra che la sessualità sia diventata semplicemente il campo del piacere e non invece della responsabilità nella relazione interpersonale. Ma in questo modo l’esperienza della sessualità viene castrata, privata di quella ricca gamma di significati, di valori, di esperienze che la rendono umana. Dio ha inventato la sessualità per strappare la persona dall’illusione di potersi realizzare da sola, per fondare il desiderio della comunione – comunione di sentimenti, di progetti, di carne; desiderio di vita, di intimità, di fecondità; realizzazione di sacrificio, di autenticità, di amore. Nel modo di vivere la sessualità la persona umana esprime e mette in gioco se stessa: riempie di significato la sua vita o la banalizza. Purezza di cuore è riempire la sessualità di significati positivi: l’amore, la fedeltà, la condivisione, la fecondità.

Dal cuore dell’uomo escono anche furti e avidità. Vediamo che gli altri possiedono qualcosa che noi non abbiamo; subito immaginiamo che saremmo immensamente felici solo che potessimo avere anche noi le stesse cose. Nasce allora spontaneo un desiderio di imitazione: desideriamo non ciò di cui abbiamo realmente bisogno, ma ciò che hanno gli altri. Pensiamo che la nostra infelicità dipenda dal non avere e ci sentiamo ingiustamente defraudati. Purificare il cuore significa liberarsi da ogni forma di confronto geloso; dall’illusione che la felicità cresca col crescere della ricchezza; che il progresso consista nell’aumentare i bisogni e i desideri. Purezza di cuore significa invece imitare Paolo quando scriveva ai Filippesi: “Ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione. So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto… alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza!” (Fil 4,11-13)

Gesù continua ricordando gli impulsi egoistici che producono omicidi, malvagità, invidia, calunnia. Anche questo c’è nel nostro cuore. L’impulso ad amare il prossimo non è in noi senza ambiguità e contrasti; distinguiamo amici e nemici; amiamo gli amici, guardiamo con indifferenza gli estranei, odiamo i nemici. In questo ambito, allora, la purezza di cuore è quella che Gesù descrive nel discorso della montagna: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli. Egli fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti… Siate voi dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre nei cieli” (Mt 5,43-45.48). San Luca ha specificato questa affermazione scrivendo: “Siate misericordiosi come è misericordioso il padre vostro celeste.” Misericordiosi: come il buon Samaritano che, incrociando sulla sua strada un ferito mezzo morto, “ne ebbe compassione”, gli si fece vicino e se ne prese cura; come il padre del figliol prodigo che, vedendo tornare il figlio scapestrato, ne ebbe compassione, gli corse incontro e lo accolse con amore immutato.

Infine, per purificare il cuore, bisogna eliminare superbia e stoltezza. Dove c’è superbia, ciascuno si sente in diritto di esigere l’adorazione degli altri e non si piega al servizio di nessuno; dove c’è stoltezza, le decisioni sono prese senza tener conto degli effetti che esse possono avere sulla propria vita e sulla vita degli altri. L’umiltà, al contrario, spinge a non cercare solo il proprio interesse ma anche quello degli altri; anzi, a mettere gli altri prima di se stessi; se l’umiltà è stimata e praticata, allora la vita sociale diventa concorde e feconda di autentico benessere. Gesù ha insegnato ai suoi amici: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti.” (Mc 9,35) Qui sta la vera sapienza.

Dunque: beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. La promessa è immensa; ma la richiesta è impegnativa. Riusciremo a viverla? Dobbiamo partire dal presupposto che Gesù non è un maestro di morale, ma il testimone e il mediatore dell’amore paterno di Dio per noi. Ha detto papa Francesco che Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato Lui stesso. Proprio così: nel momento in cui la parola del vangelo raggiunge i nostri orecchi e colpisce il nostro cuore, in quel momento Dio stesso ci sta donando quello che chiede. Possiamo dunque viverlo se rimaniamo nell’umiltà e nella docilità; ma dobbiamo desiderarlo sinceramente: “O Dio, Tu sei il mio Dio, dall’aurora ti cerco…”

+LUCIANO MONARI 30 mar 2015 00:00