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Brescia
di +LUCIANO MONARI 28 gen 2015 00:00

Monari: troviamo uno spazio per noi stessi e per la preghiera

L'omelia di mons. Luciano Monari in occasione della solennità della patrona secondaria di Brescia Sant'Angela Merici. Il Vescovo si è soffermato sull'importanza di trovare il tempo per costruire le azioni sincere con gli altri e soprattutto con Dio

Abbiamo ascoltato dalla lettera di Pietro un invito alla temperanza, a un uso moderato dei beni della terra: “Siate moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera.” La tradizione di vita ascetica che è nata da parole come queste è antica e imponente: il monachesimo, la vita religiosa, l’esistenza cristiana in genere conoscono bene la rinuncia a godere di alcuni beni anche leciti che sarebbero in ogni modo disponibili. A motivo di questa rinuncia alcuni affermano che il cristianesimo è nemico della terra e dei piaceri che la vita sulla terra può offrire. In realtà. Il motivo che Pietro adduce per giustificare la temperanza non è una considerazione negativa dei beni del mondo, ma piuttosto il desiderio di tenere libero uno spazio del cuore per rivolgersi a Dio nella preghiera. Vorrei fermarmi un attimo proprio su queste parole.

Nella fede cristiana non ci sono dubbi sulla bontà del mondo, delle creature, della materia; ciò che Dio ha creato è buono. Per questo la lettera a Timoteo critica coloro che vorrebbero proibire il matrimonio considerandolo istituzione troppo legata al mondo; e aggiunge che non ci sono cibi proibiti per chi li prenda con rendimento di grazie, cioè riconoscendo che si tratta di doni provenienti da Dio. E tuttavia rimane necessario un invito alla sobrietà. Perché? Nella parabola del seminatore Gesù elenca i diversi ostacoli che impediscono alla parola della predicazione di portare frutto abbondante: nomina anzitutto il diavolo, poi le persecuzioni, poi infine le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza. Il diavolo porta via il seme della parola prima ancora che questo abbia attecchito; le persecuzioni fiaccano la resistenza quando il seme è appena germogliato; le preoccupazioni del mondo soffocano la pianta quando questa è ormai cresciuta. Le cose del mondo sono buone in se stesse, ma proprio perché sono buone possono attirare l’attenzione e muovere il desiderio dell’uomo; se non stiamo attenti, poco alla volta, tutti gli spazi della coscienza verranno riempiti dalle cose materiali e non rimarrà più spazio per i valori più alti come, appunto, il rapporto con Dio e la preghiera. Le energie dell’uomo sono limitate e ciò che usiamo per un obiettivo non è più disponibile per altri obiettivi; siamo costretti a scegliere; e, se vogliamo essere spiritualmente sani, dobbiamo mantenere la giusta gerarchia dei valori: al di sopra di tutto Dio, unico degno di essere amato con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze; poi i valori personali che ci fanno crescere verso la maturità di un’esistenza responsabile e buona; poi, in successione tutti gli altri valori: culturali, sociali, vitali.

Il discorso è chiaro e tuttavia non così semplice come sembra. Perché i valori vitali, che stanno alla base della scala dei valori, rimangono tuttavia valori necessari, ai quali non si può impunemente rinunciare. Il cibo non è certo un valore paragonabile al pensiero o alla contemplazione; e tuttavia non posso dedicarmi alla filosofia se non ho mangiato e se non sto fisicamente bene. Sono costretto a cominciare dal cibo e dal vestito; e tuttavia debbo badare bene di spendere in questa ricerca tutte le mie energie e da cancellare di fatto l’attenzione e la ricerca degli altri valori. Mantenersi libero è un dovere per l’uomo; la sobrietà, la rinuncia a qualcosa che sarebbe di per sé lecito, è lo strumento attraverso cui lo spazio della libertà interiore viene difeso e allargato. I cristiani di Corinto, entusiasti per la novità di vita che il battesimo assicurava loro, esclamavano: “Tutto mi è lecito!” A loro Paolo rispondeva con realismo: “Ma non tutto giova” e ripetendo lo slogan dei Corinzi concludeva: “Io non mi lascerò dominare da nulla.” La valutazione ultima delle nostre scelte non dipende dal fatto che qualcosa sia lecito o no, ma dalla percezione che favorisca o impedisca la nostra crescita personale. È in gioco il senso vero dalla libertà umana. Se qualcuno ritiene che libertà sia fare tutto quello che viene voglia di fare, si troverà presto schiavo, incapace di dire un ‘no’ deciso anche a ciò che è male. Veniamo da una stagione di consumismo nella quale il valore del consumo aveva preso il sopravvento su tutte le altre dimensioni della vita; il risultato è che sono cresciute e crescono le diverse forme di dipendenza: dipendenza dall’alcool, dal gioco, dalla droga, dalla pornografia, da internet, da mille cose e mille strumenti che prima affascinano, poi irretiscono dentro una serie di legami umilianti e lasciano la persona senza più forza di tirarsi indietro, senza più libertà autentica.

Sarebbe interessante calcolare quanto tempo, quanto denaro, quanti sentimenti, quante relazioni sono sacrificate alle diverse forme di dipendenza; ci renderemmo conto che siamo più ricchi di quello che pensiamo, ma che buttiamo via gran parte della nostra ricchezza lasciandoci dominare dalle cose più stupide.

Dunque: “Siate moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera.” Mettete un limite all’attenzione che prestate alle cose per avere il tempo di dedicarvi a Dio e – credo si debba aggiungere – per avere il tempo di dedicarvi agli altri, di costruire con gli altri legami umani autentici. Un legame di amicizia e ancor più un legame di amore richiedono molto tempo; bisogna ascoltare con attenzione l’altro e aprirsi sinceramente a lui; bisogna imparare a tacere e ad attendere; bisogna condividere esperienze e sentimenti. Se non si ha tempo da perdere per costruire un’amicizia, l’amicizia non maturerà mai; potremo passare con gli altri una serata allegra, ma non si riuscirà a creare una vera comunione di vita, non si riuscirà a superare l’isolamento e la paura che nasce dall’isolamento. Questo discorso vale a maggior ragione per l’amicizia con Dio. Se vogliamo stabilire un rapporto reale con Lui, cioè un rapporto nel quale Lui, il Signore sia davvero soggetto, in cui la sua presenza sia rilevante nella nostra vita, bisogna investire tempo, attenzione, desiderio. E questo non si può fare se non mettiamo un limite preciso alle altre cose, anche a quelle buone. “Siate moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera.”

Uno dei difetti della nostra esperienza religiosa è che tende a essere egocentrica: ci mettiamo i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre richieste; andiamo davanti a Dio sapendo che cosa chiedere e aspettiamo che il Signore ci dia retta. E va bene; ma se il rapporto religioso è autentico, anche Dio deve avere la parola. Anzi, la sua parola deve avere un reale primato rispetto alla nostra; i pensieri di Dio stanno prima dei nostri e la volontà di Dio deve dare forma alla nostra stessa volontà. Ma questo non avviene se il tempo in cui stiamo davanti ma Dio è striminzito ed è soffocato dai nostri interessi. La sobrietà libera degli spazi, apre della possibilità inedite, permette a Dio di abitare in noi e di agire realmente dentro di noi.

È interessante notare che l’idea di limite sta tornando nella coscienza più attenta dei contemporanei. Abbiamo passato un periodo di ubriacatura durante il quale sembrava che non ci fossero limiti al progresso umano; che si potesse procedere consumando molto e anche di più; anzi la quantità dei consumi sembrava produrre un aumento della produzione dei beni e quindi un aumento di ricchezza. Poi ci siamo accorti che producevamo così tanti rifiuti che dovevamo spendere patrimoni per smaltirli, che distruggevamo risorse che non riuscivamo a recuperare; insomma: eravamo consumatori spensierati e in questo modo abbiamo rapinato il pianeta, siamo diventati più poveri, esposti a rischi maggiori. Oggi le persone sensibili alla salvaguardia del pianeta ci insegnano a moderare i nostri appetiti; ci dicono che dobbiamo imparare a rinunciare anche a qualcosa che sarebbe in sé possibile. Limitare il consumo di energia, il consumo di acqua, il consumo di beni materiali. Così la vecchia virtù della sobrietà torna di moda e ci accorgiamo che è una virtù sociale. In realtà tutte le virtù hanno un riflesso sociale, fanno bene alla società, ma l’avevamo dimenticato. Chissà che non riusciamo a diventare più saggi!

Si apprezza il mondo usandolo; ma, per quanto possa apparire strano, lo si apprezza anche rinunciando a usarlo. Rinunciando a usare delle cose difendiamo l’integrità del nostro pianeta e gli permettiamo di continuare a svolgere la funzione che ha sempre svolto, quella di mantenere la vita nostra e di tutti i viventi. Il proposito dovrebbe essere molto semplice. Dobbiamo mettere nelle nostre giornate uno spazio dedicato alla preghiera e difendere quello spazio da tutti gli interessi che tenderebbero a mangiarlo. E dobbiamo essere attenti a noi stessi, riconoscere con sincerità le nostre dipendenze e cioè quei legami che ci rendono meno liberi. Qui però bisogna non barare al gioco. Siccome a nessuno piace sentirsi ‘dipendente’ da qualcosa – alcool o gioco che sia – tendiamo a dire che possiamo sempre smettere quando vogliamo. Ma questa affermazione è vera solo dopo che abbiamo smesso, non prima; se la diciamo prima di avere smesso, ci illudiamo soltanto e non facciamo che rendere più difficili tutte le vie di guarigione. La sobrietà deve diventare un abito mentale in modo che il suo esercizio sia cosa normale e la nostra libertà sia protetta. Sant’Angela ci aiuti.




+LUCIANO MONARI 28 gen 2015 00:00