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Brescia
di REDAZIONE 21 feb 2022 08:15

A due anni dall'arrivo del Covid

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Nella serata del 20 febbraio 2020 la scoperta del primo positivo a Codogno, il primo segnale di quello che si è rivelato un vero e proprio tsunami

Sono passati due anni da quella sera del 20 febbraio 2020 quando anche in Italia, dopo il caso dei due cinesi ricoverati allo Spallanzani di Roma, si registrò il primo caso italiano. Sino ad allora si era guardato con un certo distacco alle notizie che arrivavano dalla città cinese di Wuhan messa sotto scacco da un misterioso virus. Le immagini di una città fantasma, con milioni di abitanti bloccati in casa, di ospedali di emergenza costruiti in fretta e furia per far fronte al numero sempre crescente di contagiati, di personale medico e sanitario costretto a operare con tute, mascherine e visiere andavano occupando uno spazio sempre maggiore sui media. Si riteneva, però che fossero cose di un altro mondo. La scoperta di un primo caso a Codogno e, a poche ore di distanza, la notizia del primo decesso a Vò Euganeo, portarono nel giro di pochi giorni il Paese, all’epoca soprattutto le regioni del Nord, in un dramma di cui nessuno avrebbe potuto prevedere le dimensioni.

Il primo caso bresciano arrivò solo pochi giorni e fu solo la prima leggera increspatura di un’onda che si sarebbe rivelata un vero e prorio tsunami. Il Bresciano, anche se con meno esposizione mediatica di Codogno e del Lodigiano (dove venne proclamata la prima zona rossa del Paese) e della Bergamasca, divenne l’epicentro lombardo del Covid. Da Orzinuovi, Montichiari e dalla Bassa il virus si diffuse in tutta la provincia, con gli ospedali “alle corde”. Medici e infermieri erano costretti a lavorare senza sosta nelle terapie intensive del Civile. Anche la sanità privata entrò subito in partita, nel tentativo di arginare quella che ormai era stata qualificata come pandemia. “Aiutateci, state a casa”, era il mantra che usciva dalle terapie intensive. Dall’ultima domenica di febbraio, quella del Carnevale poi, i primi stop per evitare che il virus trovasse ulteriore terreno fertile per propagarsi. Stop alla celebrazioni religiose, stop al Carnevale, una prima sospensione delle lezioni scolastiche…

Nel contempo, però, a fronte della richiesta disperata di aiuto che arrivava dagli ospedali costretti a combattere una battaglia praticamente a mani nude (scarseggiavano i dpi, i posti in terapia intensiva erano sempre più scarsi, mancava l’ossigeno) nel Bresciano si scatenò una vera e propria gara di solidarietà che permise di tappare alcune falle che il sistema mostrava.

Le immagini degli ospedali stretti d’assedio, con la creazione di spazi sempre nuovi per ospitare i malati, di paesi grandi e piccoli trasformati dal lockdown e dalla paura in centri fantasma, il suono lacerante delle sirene delle ambulanze che in quei giorni non smettevano per un istante la loro corsa divennero una triste consuetudine.

“C’è tanta paura, tanta preoccupazione. I bresciani sono gente fiera, forte. Brescia è conosciuta come la ‘Leonessa d’Italia’ per le vicende della sua storia. La gente non tende a manifestare sentimenti di disorientamento, rimane sempre in piedi. Però si vede che siamo molto provati”. Erano queste le parole che vescovo mons. Pierantonio Tremolada usava il 10 marzo 2020 per raccontare al Sir – con parole intense e accorate – quello che la città e la diocesi stavano vivendo in quei giorni di prima emergenza, con numeri che facevano di Brescia la seconda provincia d’Italia per numero di contagi dopo Bergamo. Anche la conta delle vittime cominciava a essere fuori controllo.

Tutto il resto, con il progredire a diverse ondate della pandemia, l’arrivo dei vaccini e l’avvio della campagna vaccinale è storia recente ma impressa nel profondo della vita delle persone e delle comunità. A due anni di distanza sono quasi 290mila i Bresciani che si sono ammalati di Covid-19 e quasi 4.700 le sue vittime. 

La decrescita della curva dei contagi, il costante alleggerimento della pressione sugli ospedali e la percentuale altissima di persone che hanno scelto di farsi vaccinare sono segnali che inducono all'ottimismo. Dopo due anni c'è veramente voglia, a tutti i livelli, di girare pagina.

REDAZIONE 21 feb 2022 08:15