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Brescia
di MASSIMO VENTURELLI 11 giu 2025 11:00

Il sacerdozio? Una prospettiva attraente

I primi segni di inquietudine, le prime domande rispetto a quello che sarebbe stato il suo futuro, sono arrivati negli anni del liceo, “e quella del sacerdozio era una delle opzioni possibili”. Per don Andrea Simonelli, 29 anni, di Passirano, quello della scuola superiore è stato, come per tanti altri giovani, il tempo della scelte, anche se, ricorda riassumendo la storia della sua vocazione, “qualche germe di domanda avevo iniziato a percepirlo sin da bambino”.

Quando hai intuito che quella del Seminario poteva essere la tua strada?

Dopo la maturità liceale all’Antonietti di Iseo, mi sono trasferito a Trento per studiare Lettere Moderne. Nei tre anni di università quell’opzione ha cominciato a prendere la forma di una possibilità reale. A Trento, oltre a fare i conti con le domande che mi accompagnavano, ho trovato qualcuno che mi ha aiutato a tirarle fuori, a prenderle in considerazione e a provare a darle al Signore. Ho incontrato persone che mi hanno reinsegnato a pregare, che mi hanno ascoltato, che mi hanno dato tempo per provare a dire quello che pensavo, sentivo e credevo.

C’è stata qualche figura che ti ha aiutato in modo particolare?

A Trento ho trovato nei frati Cappuccini una realtà importante, determinante per il mio ultimo discernimento. Li ho incontrati, mi hanno accolto e accompagnato e mi hanno fatto un po’ da guida. Da padri spirituali mi hanno aiutato a comprendere che la vocazione del prete diocesano era quella verso la quale il Signore mi portava. Ritornava in me il ricordo di don Giuseppe Zamboni, il parroco della mia infanzia, il primo sacerdote della mia vita che mi ha lasciato l’impressione profonda di un uomo dedito al Signore. L’ho sempre visto come un uomo compreso nel mistero che celebrava e che viveva. A rafforzare l’idea che quella del sacerdote diocesano poteva essere la mia strada ha contribuito anche il ruolo giocato nella mia vita da don Nicola Signorini. A lui devo molto perché mi ha stimolato a rientrare in parrocchia, a fare il catechista e l’educatore e a esternare le cose che avevo dentro. Senza che io andassi a cercarlo, in un tempo in cui forse non ero ancora maturo per fare il primo passo, è venuto a chiedermi cosa stessi pensando del mio futuro.

Come ha reagito la tua famiglia davanti alla scelta del sacerdozio?

Devo dire che, da questo punto di vista, sono proprio fortunato. I miei genitori hanno sempre accettato le mie scelte e mi sono stati vicini. Lo hanno fatto quando ho deciso di andare a studiare a Trento e, anche quando ho comunicato loro l’intenzione di entrare in Seminario, sono stati sin da subito al mio fianco, anche se non avevo mai esplicitamente parlato con loro di questa possibilità. Nel corso degli anni, sono stati un sostegno costante, discreto e fedele. Lo stesso atteggiamento lo avverto anche in mia sorella. Ha 20 anni e penso sia contenta. Abbiamo anche interessi comuni e vive ancora la dimensione della domanda religiosa. Questo ci dà modo di confrontarci.

Cosa sono stati per te gli anni della formazione in Seminario?

Sono stati anni di una buona e sana vita comunitaria, nel senso che i rapporti che si vivono tra di noi sono fraterni, fanno crescere e hanno dato un sostegno forte alla mia fede e anche alla scelta del sacerdozio. Naturalmente, sono anni di intensa formazione spirituale e di questo io sono grato soprattutto agli educatori e ai formatori del Seminario, che hanno sempre avuto chiaro che c’è un primato della vita interiore, della preghiera, del rapporto con Cristo, senza il quale la vita di un sacerdote non tiene, non regge. Sono stati anche anni in cui la Chiesa ci ha permesso, ci ha dato forse il lusso di prenderci del tempo per farci un’idea, di andare a fondo nell’intelligenza della fede.

Il tempo della formazione ti ha aiutato a capire cosa significhi essere sacerdote oggi?

Quelli del Seminario e del servizio svolto in parrocchia sono stati anni che mi hanno aiutato a vedere il sacerdote e il suo impegno nella quotidianità. Mi hanno permesso di toccare con mano quanto bene possa fare nella vita delle persone. Il tempo della formazione mi ha anche fatto capire il bisogno che il prete avverte di annunciare il Vangelo nella sua nuda purezza, di parlare alle anime, di ascoltarle e di prenderle per mano, e come tutto questo sia messo a dura prova dalle mille altre incombenze a cui il prete è chiamato.

In questi anni ti sei mai posto la domanda: “Chi me l’ha fatto fare?”...

Più che la domanda in quanto tale, ci sono stati momenti in cui la mia scelta mi è sembrata più difficile o meno scontata, in cui mi è parso di avvertire meno certa la mia fede, in cui ho dovuto riconoscere che le obiezioni di chi al Signore non crede, forse, sembravano fondate. Tutto questo mi ha insegnato a non dare mai per scontata la fede: il cercare risposte a questi dubbi non ha fatto altro che confermare che diventare sacerdote è la scelta più bella della mia vita. Mi spaventa e, allo stesso tempo, mi carica di entusiasmo la responsabilità che il Signore mi affida di essere testimone credibile del suo Vangelo.

Papa Leone XIV ha invitato i giovani a non avere paura...

Il suo invito, nel primo Regina Coeli, è stato di grande conforto: la Chiesa mi parla infondendomi fortezza e questo mi fa bene.


MASSIMO VENTURELLI 11 giu 2025 11:00

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