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Brescia
di ELISA GARATTI 13 giu 2025 10:02

Una vita vivificata da relazioni profonde

Una vocazione che trova nelle relazioni la linfa per crescere e diventare sempre più viva e concreta. È quanto emerge rileggendo la storia di don Mattia Garneri, prossimo all’ordinazione sacerdotale. Nato l’11 agosto 1999 a Gardone Val Trompia e originario della parrocchia di Zanano, negli anni del Seminario ha svolto il suo servizio a Rezzato, a Lovere, a San Bartolomeo e a Gavardo.

Come sei arrivato alla scelta del Seminario?

La mia scelta di entrare in Seminario è frutto di tanti incontri che ho vissuto nel corso degli anni. Penso, anzitutto, alla mia famiglia e ai miei genitori che sono stati i primi educatori nella fede. Ma penso anche alla mia parrocchia e alla comunità in cui sono cresciuto, perché è lì che, in tanti, si sono presi cura del mio cammino. Mi riferisco, per esempio, al mio parroco don Cesare Cancarini (oggi abate di Montichiari, ndr) che è stato capace di testimoniarmi la bellezza dell’essere prete felice. Gli anni delle superiori, dove per cinque anni ho avuto come compagno di classe don Nicola Penocchio, sono stati decisivi.

Quali sono state le reazioni della tua famiglia o dei tuoi amici alla scelta di entrare in Seminario?

Tanti amici si sono dimostrati entusiasti, altri, magari, un po’ più stupiti, ma sinceramente felici. Anche in famiglia la perplessità iniziale ha subito lasciato il posto alla felicità. I miei genitori non si sono mai dimostrati contrari a questa decisione, hanno semmai dovuto misurarsi con quei timori e con quelle domande che ogni madre e ogni padre si pongono quando un figlio prende una decisione importante per la propria vita. Ricordo bene che, rientrato a casa dopo una delle prime settimane di Seminario, i miei genitori mi hanno detto: “A noi basta che tu sia felice”.

C’è stato qualcuno che ti ha detto: “Cosa stai facendo?”…

Non così direttamente, però qualcuno che mi ha interrogato sulla complessità della scelta. La mia stessa esperienza concreta è stata per loro una chiara risposta a questi dubbi, richieste e domande.

Cosa hanno rappresentato per te gli anni del Seminario?

Per me, sono stati anni fondamentali, belli dal punto di vista umano e spirituale. Porterò sempre con me, con cuore grato e riconoscente, le relazioni che, in Seminario, ho potuto costruire giorno dopo giorno. Penso ai miei compagni di cammino, a chi si è preso cura della nostra formazione, ma penso anche a tutti quei giovani che, per un motivo o per l’altro, sono passati di lì trasformando il Seminario in una vera casa che è aperta, dove chi vuole può sentirsi accolto e ben voluto.

C’è qualcosa che, in questi anni, ti ha aiutato a ben delineare l’essenza del sacerdozio?

Le materie studiate hanno fatto la loro parte, ma fondamentali sono state, soprattutto, le esperienze di servizio vissute nel fine settimana, quindi la possibilità di andare in parrocchia, vivere quella realtà e conoscere da vicino la vita del prete.

Hai avuto momenti di difficoltà? Come li hai affrontati?

Momenti di difficoltà ce ne sono stati, ma del resto, a mio avviso, una scelta è radicata e vera se vive anche di momenti di stanchezza. Molto importante è anche il modo in cui si sta in questi momenti. Ho cercato di affrontare questa fragilità non in senso negativo, ma come un’occasione positiva per cambiare, per tornare alle radici della scelta e per approfondire le ragioni che mi hanno spinto a intraprendere questo cammino.

A pochi giorni dall’ordinazione sacerdotale che sentimenti ti suscita quel “per sempre” che dirai al Signore davanti al Vescovo?

Mi sento, anzitutto, grato per il cammino che mi ha condotto fin qui e per le persone che mi hanno accompagnato. C’è sicuramente tanta attesa: sarà una grande festa non solo per me, ma anche per tutta la mia comunità. Allo stesso tempo, c’è anche un po’ di tensione per ciò che verrà dopo. Il “per sempre” non lo vivo come un peso, ma come una promessa bella che chiede fiducia perché Lui, per primo, mi ha detto il suo sì per sempre.

Non tutti i tuoi coetanei, dinanzi a scelte definitive per la loro vita, mostrano la tua stessa serenità…

Io non credo di essere molto diverso da loro. Anch’io mi sono trovato, ad un certo punto della mia vita, a fare i conti con alcune domande: che cosa voglio davvero? Dove troverò la mia gioia? Per cosa vale la pena donarsi? La differenza è nella risposta, cioè nel riconoscere che la via del sacerdozio fosse la gioia piena. Il Signore, comunque, dà la stessa grazia ai giovani che dicono sì ad altre chiamate come il matrimonio o una vocazione missionaria. Sono forme diverse, ma sempre vie per amare e per servire.

Cosa hanno suscitato nel tuo cuore gli inviti “a non avere paura” di Leone XIV?

Queste parole rispondono a un aspetto che accomuna le paure e i dubbi di tutti, giovani e meno giovani. Il suo non è stato un invito a essere incoscienti, ma un’apertura alla fiducia, alla consapevolezza che il Signore c’è e non smette mai di operare. L’invito di Leone XIV vale per me come un augurio ad affrontare ogni sfida con speranza.


ELISA GARATTI 13 giu 2025 10:02

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