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Brescia
di ROMANO GUATTA CALDINI 24 apr 2016 00:00

Doninelli. L'insostituibilità del romanzo nonostante le serie tv e i social

Giovedì scorso, 21 aprile, all'auditorium Balestrieri si è svolta la terza serata del Mese Letterario organizzata dalla Fondazione San Benedetto. Il relatore, Luca Doninelli

Che soddisfazione si cerca nella vita? “La risposta ci è stata fornita da Flannery O'Connor quando ha affermato che 'Se la vita ci soddisfacesse, fare letteratura non avrebbe alcun senso”; ha così esordito lo scrittore bresciano Luca Doninelli, terzo ospite - giovedì scorso - del Mese letterario, la rassegna culturale targata Fondazione San Benedetto. Il senso dello scrivere, l'esperienza e l'Io sono stati i temi affronatati da Doninelli, allievo di Giovanni Testori e reduce dalla recente pubblicazione per Bompiani de “Le cose semplici”.

“Non si scrive per sorprendere gli altri, ma per meravigliare se stessi”. Se è vero che “'È del poeta il fin la meraviglia' come scriveva, circa quattro secoli addietro, Giambattista Marino”, è altrettanto vero che lo scrittore, nel tessere la trama di un' opera, comunica sempre qualcosa che è suo, sublimando la propria esistenza, i propri sentimenti. Ne è convinto Doninelli: “Io posso comunicare solo qualcosa che è mio, posso parlare solo di ciò che amo, di quello che è ho conquistato”.

Di cose da raccontare Doninelli doveva averne molte; la sua ultima fatica letteraria, infatti, consta di oltre 800 pagine, quasi uno schiaffo alle attuali linee editoriali, una sfida a “quei sociologi d'oltreoceano convinti che il romanzo abbia finito la sua funzione”.“Ho contravvenuto a tutto questo volontariamente e coscientemente”, ha affermato. Il romanzo – secondo Doninelli - è quella cosa da cui un giovane coglie gli interrogativi, le domande, le immagini fondamentali del proprio romanzo di formazione. “Se fino a 15 anni fa un giovane citava Dostoevskij, oggi, stando a quanto riportano i sociologi statunitensi, non è più così, tutt'al più si cita House of Cards”. “Va bene – ha continuato Doninelli –, per raccontare la mostruosità del potere c'è bisogno di fior di sceneggiatori”, come quelli che hanno portato al successo la serie diretta da Beau Willimon. Però, “affinché le serie tv sostituiscano il romanzo – ha aggiunto – deve succedere qualcosa nel modo in cui si attiva la memoria: il rapporto fra sapere e conoscenza si coniuga solo attraverso l'identificazione, non basta sapere una cosa per conoscerla”. E' in questo senso, in questo approccio alla cultura e al sapere che si colloca il crollo dell'interesse verso la lettura, il crollo dell'attenzione che caratterizza la millennial generation, quei ragazzi “convinti che, per conoscere 'Guerra e Pace', sia sufficiente consultare la voce su Wikipedia”. “Siamo in un'epoca social: bella, brutta, migliore, peggiore, non giudico; sicuramente tutto questo cambia il modo di approcciare alla conoscenza, anche alla conoscenza di sé”.

Dostoevskij, Tolstòj, Flaubert, come Pavese e Pasolini, sono destinati a rimanere sugli scaffali? No, secondo Doninelli, perché - nonostante il bombadamento continuo d'informazioni permesso dalle nuove tecnologie - fra una serie tv e un romanzo mancherà sempre qualcosa: “Il rapporto che si instaura fra il lettore e l'opera, fra il lettore e l'autore, è questa la vera forza del romanzo” . Scrivere romanzi ha ancora senso? “Sì, perché riguardano la formazione, la scoperta dell'Io; per questo eliminare i romanzi sarebbe un errore grave”.







ROMANO GUATTA CALDINI 24 apr 2016 00:00