Ranieri: Quando l’amore diventa poesia

Quando si parla di Massimo Ranieri, mi riferisco soprattutto alle giovani generazioni, è doveroso ricordare che ci si trova di fronte ad un mito autentico, uno di quegli artisti capaci di lasciare un segno indelebile nella storia della canzone italiana. Massimo Ranieri pseudonimo di Giovanni Calore (nome dedicato al Principe Ranieri, marito di Grace Kelly), è nato nel cuore di Napoli e da Napoli già tredicenne è stato catapultato sui palchi degli States come spalla di Sergio Bruni. A 15 anni il primo contratto discografico, a 16 vince il Cantagiro dedicato alle giovani promesse e a 17 fa il suo esordio al Festival di Sanremo. Un predestinato, vincitore di Cantagiro, Canzonissima, del Festival di Sanremo nel 1988 con “Perdere l’amore”, attore cinematografico e teatrale di successo nonché presenza televisiva costante negli anni ’70 e ’80. A 73 anni sembra sempre l’eterno ragazzino degli esordi, con quel volto che assomiglia straordinariamente a Pierpaolo Pasolini tanto da essere stato scelto come attore proprio per interpretare Pasolini nel film “La macchinazione”. Il Teatro Clerici è gremito e “caldo” come non mai e l’ingresso di Massimo Ranieri fa esplodere la prima di una serie lunghissima di acclamazioni. La band di dieci elementi attacca il primo brano, “Quando l’amore diventa poesia”, pezzo intenso e struggente che manda il pubblico in visibilio. Dopo aver augurato a tutti un 2025 “in salute”, introduce spiegando il senso di un concerto dedicato ai sogni: “ho imparato a sognare da bambino e continuo a farlo, mai smettere di sognare!”. 22 i brani eseguiti, alcuni dall’ultimo album “Tutti i sogni ancora in volo” (titolo anche del tour), qualche cover e naturalmente i pezzi più classici del suo repertorio. Tra una canzone e l’altra Massimo Ranieri infila aneddoti e riflessioni che danno la cifra di un uomo maturo ma con lo spirito e la freschezza di un ragazzino, in ottima forma fisica e sereno con se stesso, sempre proiettato oltre, con molti sogni ancora da conquistare nonostante i sessant’anni trascorsi sui palchi di tutto il mondo. Nel secondo pezzo, “Lasciami dove ti pare”, con l’ottimo supporto delle tre coriste-musiciste della band (tastiere, violino e sax) la sua forza vocale si distende con grande padronanza, mentre la successiva “Tutte le mie leggerezze”, intensa e potente, regala un finale in crescendo che entusiasma il pubblico. Da attore navigato tiene sempre alta l’attenzione con la sua presenza scenica, fatta non solo di grandi interpretazioni ma anche di balletti, mossette, sorrisi, alternando storie di palco e di vita, pensieri, piccole riflessioni sempre leggere ma mai banali. Si appoggia al piano, arrochisce la voce, lascia che il suono rallenti, che parta il controcanto o che esploda il suono del sax. Alternando sound di ritmo e di sostanza a suoni acustici, il canto sussurrato al canto “gridato”, Giovanni Calone conquista il pubblico, prevalentemente adulto ma con qualche sorprendente presenza giovanile.
Il primo pezzo che “spacca” è “Se bruciasse la città”, con un Massimo Ranieri non solo ottimo interprete ma anche consumato attore, a suo agio tra passi di ballo, scivolate d’ingresso e una mimica capace di scatenare applausi, cori e complimenti urlati dal pubblico in platea. Dopo sette canzoni il Teatro Clerici ribolle già, il pubblico nonostante la non più verde età canta e applaude a più non posso, è una serata bella, serena, pulita, di quelle che riempiono il cuore e rendono contenti, in questo mondo che a volte sembra un po’ troppo grigio. Oltre al tema dei sogni l’altro elemento costante nelle canzoni del “cantattore” napoletano è l’amore (“dal 1964, anno in cui ho messo i miei piedi su un palcoscenico…ho cantato l’amore in quasi tutte le mie 800 canzoni. E’ l’unica cosa che conta, l’unica cosa che a me interessa veramente, sono innamorato dell’amore, io con l’amore ci farei l’amore! Tra pochi mesi compirò… 54 anni…ma io sogno ancora di innamorarmi!”). Non manca un ringraziamento affettuoso al suo maestro Giorgio Strelher (“ero a Milano alla sua corte, mi insegnò l’arte della fatica e della sofferenza. E’ stato l’unico mio grande maestro, come uomo e come attore”) e un omaggio al grande Renato Carosone con il primo dei due pezzi a lui dedicati. Si tratta di “Pigliate ‘na pastiglia”, introdotta da una sirena, che fa letteralmente esplodere il teatro. Dopo una meritata pausa il concerto riprende con ”Io vivrò senza te”, che non è la nota canzone di Lucio Battisti ma un pezzo struggente ed intimo di Massimo Ranieri, con la platea che ricambia le emozioni della canzone con un lungo e sommesso applauso, come un’onda lenta che si addormenta sulla battigia. Immediato il cambio di ritmo con il brano successivo, “Canzone con le ruote”, che ricorda come ritmo “Tropicana”, cui segue uno dei superclassici di Massimo Ranieri, “Erba di casa mia”, impreziosita da un impetuoso assolo di sax.
Pubblico al settimo cielo, “siete meravigliosi” replica Ranieri che poi rievoca i suoi inizi. “Mia madre ha messo al mondo Giovanni Calore, ma mio padre ha fatto nascere Massimo Ranieri. Iniziai con il nome d’arte di Gianni Rock…mai cantato una canzone rock in vita mia, neanche sotto la doccia!”. E’ il momento di “Rose rosse per te”, cantata a squarciagola dal pubblico, un pezzo che travalica il tempo, che fa tornare giovani, fa cantare, fa sognare. Questo è Massimo Ranieri, un animale di razza, grande anima e grande cuore, innamorato dell’amore, da lui cantato attraverso una carriera lunga 60 anni sempre ai massimi livelli. Parte ora il reggae reggae di “Asini”, disincantata e sottile, molto apprezzata dal pubblico. “Non c‘è molto da sognare con questa canzone, però bisogna guardare in faccia le cose come stanno, a volte i sogni non ci sono. Cambiamento climatico, cataclismi…tra un paio di centinaio d’anni la terra non esisterà più…se continuiamo così esisterà ancora l’essere umano? Per tenere in vita le persone bisogna anche alimentarle con le emozioni, i sentimenti, il pensiero. Viviamo tempi strani, apparentemente abbiamo tutto, possiamo essere liberi, essere noi stessi, ma liberi di fare cosa? Ogni tanto mi perdo, sento che c’è qualcosa che non va, quando ero bambino dalla mia stanzetta nel condominio di Napoli dove abitavo potevo vedere il mare, che spettacolo, era meglio della televisione!”. E’ la volta di un pezzo bellissimo come “Vent’anni”, un brano un po’ fuori standard rispetto al Massimo Ranieri style, una canzone che strizza l’occhio alla canzone d’autore, ricordando per il climax sonoro “Io vagabondo” dei Nomadi. Il gran finale è affidato alla canzone che gli fece vincere Sanremo nel 1988, “Perdere l’amore”, canzone molto attesa da un pubblico ormai ad alta gradazione emozionale. Immancabili un paio di bis, che proiettano Massimo Ranieri in un’altra dimensione, sette metri sopra il cielo. Tra applausi, cori, ringraziamenti e baci da parte del pubblico è il turno della seconda cover di Carosone, “Tu vuo’ fa’ l’americano” prima della definitiva conclusione con la bellissima “Anema e core”, superclassico napoletano, ciliegina sulla torta di una serata memorabile, ricca di canzoni, di ricordi e di emozioni.
