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di GIUSEPPE MARI 21 lug 2016 00:00

Famiglia. Sfida dell’Amoris Laetitia

Di fronte alla fatica di giungere al matrimonio e di custodirlo, penso che sia legittimo porsi anche un quesito di tipo educativo...

Di fronte alla fatica di giungere al matrimonio e di custodirlo, penso che sia legittimo porsi anche un quesito di tipo educativo. Certo, le storie affettive sono personali, quindi è difficile procedere ad una generalizzazione. È però anche vero che l’essere umano si è sempre autocompreso come strutturalmente relazionale: allora significa che è fatto per il matrimonio o per la scelta della consacrazione nel celibato vissuto come sponsalità spirituale. La singolare congiuntura che stiamo attraversando, nella quale vanno in crisi (insieme) la vocazione al matrimonio e quella alla consacrazione, conferma che i due stati di vita sono simili. ù

A maggior ragione, quindi, s’impone la domanda: perché tanta fatica? Papa Francesco, all’interno di “Amoris Laetitia”, tocca più volte il tema educativo. L’intero cap. VII è dedicato a questo ed è facilmente riconoscibile l’approccio classico alla pratica della virtù e all’acquisizione delle buone abitudini. Lo sottolineo perché ritengo che nell’educazione attuale (anche in quella svolta nelle realtà ecclesiali) questi orientamenti siano ampiamente disattesi risultando più facile confondere educazione e intrattenimento, e arroccarsi su sterili forme intellettualistiche. In più passaggi (nn. 33, 39, 41, 187) il testo riconosce nell’“individualismo”, nel “narcisismo” e nella “personalizzazione” non orientata (che conduce all’autoreferenzialità) la radice del problema. All’individualismo è ricondotta anche l’ideologia Gender (n. 56). A questo richiamo – sul piano pedagogico – corrisponde l’invito a educare al “limite” per orientare l’impulso spontaneo verso l’“autodonazione” (n. 148). Anche in filigrana alla riflessione sui profili maschile e femminile (nn. 168-177) si coglie un’istanza educativa. La stessa esigenza è ribadita per quanto concerne l’educazione al matrimonio e all’affettività. Educare non è mai stato banale.

Anche per questo, la più antica testimonianza in Occidente di cosa sia l’educazione – mi riferisco all’Iliade, scritta trenta secoli fa, ma specchio di un mondo più vecchio di cinquecento anni – riconosce come educatore dell’eroe Achille la figura mitica del Centauro accanto a quella del vecchio guerriero Fenice. Ma nessuno vi ha mai rinunciato perché l’amore per i figli (secondo la carne e secondo lo spirito) è insuperabile. Tocca quindi anche a noi – come a coloro che ci hanno preceduto – non desistere, ma avere il coraggio di chiederci che cosa non stia funzionando.
GIUSEPPE MARI 21 lug 2016 00:00