La felicità che dura

Chissà quanti giovani santi esistono, mi passano accanto, mi sfiorano. E io non so nulla della loro storia, come ignoravo l’esistenza di David Buggi (1999 – 2017), finché una mamma – e l’ho capito poi, perché proprio una mamma – mi ha girato un video sulla sua vita. Un giovane come tanti, giocatore della nazionale di hockey subacqueo, intelligente e pieno di interessi. Dopo la Cresima, sceglie di continuare a interrogarsi su Dio e il senso della vita non abbandonando la Chiesa, ma rimanendo. È uno dei pochi giovani che ancora vediamo nei nostri oratori. Ha la fortuna di incontrare un don che tiene testa alle sue provocazioni, alle domande che non si accontentano di risposte scontate. Perché il cristianesimo non è solo colorare i disegnini della vita di Gesù a catechismo. Lo sa don Pierangelo Pedretti che gli si affianca nella verità e nella libertà. Arriva il tempo duro della malattia.
David prega: “Che non sia un brutto male”. È un tumore. “Che non sia maligno”. Lo è. “Che non sia in metastasi”. Troppo tardi. Immediata la sua reazione “A che serve pregare se capita tutto il contrario di quello che chiedo?”. Forse è tutta una presa in giro questa storia di Dio che è buono e onnipotente. Proviamo con un ricatto, una specie di voto: “Se guarisco, mi faccio prete”. E don Pierangelo: “No, non vale, perché per te farti prete è una cosa orribile, allora dai a Dio una cosa orribile. Non funziona così. È più pesante la partita che stai giocando con Gesù. Devi essere disposto a morire a 16 anni” e lui: “Non ce la faccio a essere così generoso con il Signore”. Finché una notte, non riuscendo a dormire per l’ansia che lo assale, gli viene voglia di pregare. Afferra il rosario: “Non avendolo mai pregato prima da solo, ho provato a farlo un po’ come meglio potevo”. In quel momento prova un’emozione bellissima, più dell’innamoramento, accompagnata dal desiderio di affidare la sua vita a Dio. Da quella sera, David è felice, di “una felicità che ti dura per giorni e giorni, finché tu stupidamente non decidi di fare di testa tua e ti fai del male da solo”. Non chiede più nulla per sé, ma un solo grande regalo: che i suoi familiari, in particolare la mamma, non soffrano troppo per la sua morte. E così avviene, perché i genitori sanno con certezza che David è vivo. Nelle ultime ore della sua vita, David dà appuntamento a centinaia di ragazzi, dei quali conosce fatiche e gioie. Non riesce più a parlare. È don Pierangelo a parlare e pregare al posto suo. E lui, con una stretta di mano approva o meno le parole del sacerdote. Quando l’ultimo ragazzo lascia l’ospedale, David può morire, perché “tutto è compiuto”.
