lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Brescia
07 mag 2015 00:00

Matteo Renzi resta l’unico leader

All'approvazione dell'Italicum ha fatto seguito lo strappo di Civati. L'editoriale del n° 18 di Voce è di don Adriano Bianchi

Piazze piene e aule vuote lo scorso 5 maggio per la protesta del mondo della scuola contro il disegno di legge voluto dal Governo Renzi denominato “la buona scuola”. Settimana accesa che segue solo a quella incandescente in Parlamento quando il premier ha ottenuto il voto definitivo della Camera sulla legge elettorale denominata “Italicum” a colpi di fiducia.

Le ultime ore ci consegnano lo strappo del parlamentare Beppe Civati della sinistra Dem che lascia il gruppo del Partito democratico annunciando che “non sosterrà più il governo perché non ha più fiducia”. Sulla sponda delle opposizioni regna lo smarrimento. I pentastellati annunciano una marcia Perugia-Assisi per pesare il consenso popolare che ancora li sostiene dopo il declino della stella di Grillo, mentre il centrodestra si barcamena in veti e beghe nei salotti berlusconiani che, per ora, non sembrano forieri di brillanti prospettive future. Salvini intanto gongola e cavalca la pancia del dissenso più becero.

Intanto Matteo Renzi sta. Un po’ vende (è un ottimo comunicatore come sappiamo), un po’ spacca (soprattutto in casa Pd con una minoranza che per ora riesce solo a trasmettere nostalgia e un mondo che non c’è più), un po’ tira la corda (con la scuola in questi giorni sta giocando al tiramolla e forse qualcosa mollerà) e un po’ fa il pavone (gli è piaciuto un sacco stare il 1° maggio all’Expo e si è visto che dopotutto gli riesce bene). L’accusa dell’uomo solo al comando che i suoi avversari gli rivolgono è in parte reale.
È evidente dalla modalità con cui gestisce le cose. Ad esempio, pare che Matteo Renzi, a Palazzo Chigi, si sia circondato di uno strettissimo gruppo di fedelissimi che decidono le sorti di tutti i dossier caldi dell’Italia. Insomma la Presidenza del Consiglio è divenuta quasi un fortino impenetrabile. Renzi è un decisionista di fatto che, mentre continua a sottolineare che ascolta tutti, evidentemente fa suo in pieno l’onere e l’onore di decidere su tutto e su tutti: fa il capo del Governo, il capo fino in fondo. Un modello che gli piace e che tende a esportare in tanti aspetti della vita pubblica nella convinzione che al Paese oggi manchi soprattutto una direzione autorevole. A molti questo può dispiacere, ma agli italiani? La moda di misurare la salute dei politici attraverso continui sondaggi non è proprio appassionante. Il rischio è che i politici ci credano troppo e che gli stessi cittadini si facciano più influenzare dal trend dell’opinione pubblica più che nella ponderata e informata valutazione dei provvedimenti che la politica mette in atto nel merito e nella sostanza dei temi. Certo saranno più interessanti gli esiti elettorali. Dopo quello europeo dello scorso anno che “ha incoronato” Matteo tra i leader con più alto consenso nella storia italiana, cosa accadrà il prossimo 31 maggio quando a votare andranno quasi 23 milioni di italiani? Renzi è un leader, non c’è dubbio. Il problema è semmai che sia l’unico spendibile oggi in Italia.

Più che un problema suo è un problema del Paese. Un sistema equilibrato avrebbe bisogno di un Renzi a destra, e di altri politici che sappiamo giocare la loro stagione con quelle qualità di immediatezza e visione prospettica che il premier oggi indiscutibilmente è l’unico in grado di far percepire. È una mancanza grave per un sistema democratico maturo come vorremmo che fosse: un vuoto questo che andrà colmato. Almeno si spera.
07 mag 2015 00:00