Carlo Acutis: una felicità contagiosa
Carlo Acutis (3 maggio 1991–12 ottobre 2006) è il primo santo millennial. Un giovane che, con il suo entusiasmo, parla di Gesù ai suoi coetanei e porta i lontani a chiedere il battesimo e a riconoscere che la fede cristiana è gioia. Un ragazzo che ama i santi, soprattutto Francesco d’Assisi. Un testimone che vive una vita straordinaria, giocando, usando il pc, praticando lo sport, divertendosi con gli amici e amando gli animali. Un cristiano che accetta la sofferenza e la offre per la Chiesa e per il Papa. Per le Edizioni Messaggero, padre Giancarlo Paris, già Guardiano del Convento di San Francesco a Brescia, ha pubblicato il libro “Carlo Acutis. Il discepolo prediletto”. Nella nuova edizione compaiono la prefazione del Card. Marcello Semeraro e la Postfazione di Antonia Salzano Acutis, la madre di Carlo. Abbiamo intervistato l’autore.
Padre Giancarlo, in questi anni hai avuto modo di conoscere da vicino la figura di Carlo Acutis. Cosa hai imparato?
Recentemente sono stato in una scuola di Padova a parlare di Carlo Acutis agli studenti. Ho imparato molto da quelle “lezioni”: la prima cosa è che Carlo non desta particolare curiosità tra i giovani di un istituto tecnico appartenenti a famiglie benestanti. Il momento di maggiore partecipazione è stato quando ho chiesto loro di commentare la frase di Carlo: “Tutti nasciamo come originali, molti muoiono come fotocopie”. Penso che Carlo Acutis abbia realizzato proprio questa originalità, aiutato dal rapporto di amicizia costruito con Gesù, tanto da identificarsi nel discepolo prediletto che durante l’Ultima Cena appoggiò il capo sul petto del Maestro. Carlo, quando si accostava all’Eucaristia, immaginava di stare in questa posizione ad ascoltare i battiti del cuore di Gesù, lasciandosi cullare dal suo amore.
Come possiamo definire la spiritualità di Carlo?
Recentemente sono stati pubblicati alcuni articoli polemici che hanno definito la sua spiritualità preconciliare e devozionale. Quello che mi colpisce di Carlo è la sua passione per Gesù espressa in scelte di vita che non hanno nulla di devozionale o di preconciliare, come l’attenzione per i poveri e per i coetanei che vivevano momenti difficili a scuola o a casa. Soprattutto, a differenza dei nostalgici, Carlo è un ragazzo gioioso che sprizza felicità intorno a sé, un ragazzo non ripiegato su se stesso: si arrabbia con la mamma Antonia che vuole regalargli per il suo compleanno un paio di scarpe, mentre lui vuole acquistarle per il povero sotto casa che le ha rotte. Ogni sera mette da parte qualcosa dal piatto per portarlo a un mendicante davanti alla chiesa parrocchiale. A scuola si siede accanto ai bambini in difficoltà per aiutarli e nel pomeriggio li porta a casa per fare con loro i compiti e poi giocare insieme. Prende le difese di bambini bullizzati per il loro aspetto o per il solo fatto di essere stranieri. Tutto questo è espressione di una vita ispirata al vangelo che le devozioni hanno sostenuto e sviluppato. Se pensiamo a Carlo come al santino da immaginetta, ci sbagliamo: è, prima di tutto, un ragazzo che ama ridere e far ridere, giocare, correre, fare sport, stare con gli amici; non è un animale da sacrestia, un pretino mancato: è sepolto in una semplicissima tuta da ginnastica con scarpe sportive ai piedi, niente pizzi e niente cravatte.
C’è un aspetto che hai voluto sottolineare nel libro?
Il libro presenta proprio questo Carlo, quello innamorato di Gesù e dell’Eucaristia, quello della devozione mariana e legato ai santi, ma soprattutto il ragazzo dei giochi, degli scherzi, delle avventure, della felicità e della gioia. Quello che manca sul volto di tanti suoi coetanei oggi. Una gioia così naturale e contagiosa, da portare il domestico Rajesh a chiedere il Battesimo per diventare cristiano. Carlo lo chiamava “il mio amico Rajesh” ed era sempre molto gentile con lui e con tutti. Non mancava mai, per esempio, di salutare e ringraziare le persone che prestavano servizio in casa e il bidello della scuola. Quando la casa editrice mi propose la biografia, Carlo Acutis non era ancora venerabile. Cominciando a raccogliere informazioni e materiale, mi accorsi di alcune coincidenze relative a date, luoghi, episodi che attirarono la mia attenzione. I primi capitoli parlano proprio di questo illustrando come la Croce, la Vergine Maria e l’Agnellino siano così presenti nella vita di Carlo, da tracciarne un percorso. Il testo è nato da lunge telefonate con la madre di Carlo, Antonia. Su mia insistenza, mi mandò per posta le fotocopie dell’agenda di Carlo che conteneva poche frasi ed alcuni disegni che ho cercato di interpretare e che sono presenti nel testo. In seguito Antonia mi chiamò per dirmi che aveva letto il libro e aggiunse: “Questo è proprio il mio Carlo”. Fu una grande soddisfazione. Devo anche confessare che, mentre ordinavo il materiale raccolto per la stesura del libro, a volte sentivo una certa antipatia nei confronti di questo ragazzino a cui sembrava tutto facile: la santità, la preghiera, l’amore per il prossimo, la gentilezza, la felicità, la generosità. Carlo ha la capacità di farci fare i conti con i nostri limiti, ci pone davanti alle nostre contraddizioni. D’altronde la Scrittura stessa lo ha annunciato: “Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli” (Sal 8,3).
Come, da bambini, si può vivere la fede?
Penso a Carlo come un bambino al pari degli altri, con una passione particolare: Gesù e l’Eucaristia. Come tutti i bambini, una volta trovato un argomento che lo ha interessato e incuriosito, lo ha trasformato in una passione che lo ha coinvolto fino al profondo del cuore. Carlo è la gioia fatta vita. Esuberante, coinvolgente, festoso. Ha girato dei mini filmati di pochi minuti utilizzando gli animali per rappresentare la lotta tra il bene e il male con la cagnetta Briciola e i “perfidi” gatti di casa. Una fede trasformata in gioco. La sua ricerca era molto seria, minuziosa, pensiamo al lavoro fatto negli ultimi anni di vita, sui miracoli eucaristici. Tutto poi veniva svolto e tradotto nel linguaggio di un bambino. È questa la sua bellezza.
Come trasmetterlo ai giovani?
Per parlare ai ragazzi di Carlo, ho dedicato i capitoli centrali del libro ai temi della gioia, dei giochi, dell’amicizia. Allo stesso tempo penso che sia un libro per i genitori, per aiutarli a capire come la fede possa riempire la vita dei loro figli, renderli meno viziati, meno razzisti, più attenti ai poveri, a chi soffre in generale, ma soprattutto più felici senza perdersi nell’attaccamento capriccioso alle cose materiali.
Come vive la sofferenza e la morte?
La morte capita come per caso, sono soli 15 giorni di malattia che però Carlo vive con la maturità di un adulto. Prende in mano la situazione e la trasforma in preghiera. Rende viva e cristiana anche la sua sofferenza. Dopo aver pregato a lungo davanti a Gesù nel tabernacolo, lui stesso si lascia trasfigurare dalla malattia per divenire offerta per il Papa e per la Chiesa. Qui Carlo non è più il bambino. Davvero ha vissuto come tutti gli altri, ma ha saputo metterci quel tocco di originalità che non lo ha ridotto a fotocopia dei santi da immaginetta.
Ricordi il tuo primo incontro con Carlo?
Ad Assisi, nella sacrestia del Santuario di Rivotorto, vedevo la sua fotografia e chiedevo chi fosse. I frati non lo conoscevano. Sapevano solo che era un ragazzo che periodicamente visitava il santuario e che era morto da poco. Fu questo il nostro primo incontro: una domanda che faticava a trovare risposta. Penso sempre che le persone di cui scrivo in qualche modo mi abbiano cercato, coinvolto e appassionato e finiscano col far parte della mia vita come amici o come famigliari.