Carlo Acutis, uno di noi
Voci di ragazze e ragazzi in pellegrinaggio ad Assisi sulla tomba di Acutis: un santo di dimensione umana, a cui ispirarsi per credere in se stessi. La rivista “Il Segno” della diocesi di Milano dà la parola a Claudia, Edoardo, Vittoria, Alessandro e Stefano
La parola ai ragazzi. Sono tantissimi i preadolescenti e gli adolescenti che visitano la tomba di Carlo Acutis ad Assisi. Come lo vedono loro? Cosa cercano andando lì? “Il Segno”, rivista della diocesi di Milano, dà loro la parola.
Claudia frequenta la seconda media ad Arcisate (Va), gioca a tennis e ha la passione per la lettura e i viaggi nei piccoli borghi italiani, come Assisi: “C’ero stata da piccola, ma non me la ricordavo e quindi volevo tornarci, perché mi ha sempre attratto”, racconta. Decide così di iscriversi al pellegrinaggio ad Assisi del decanato della Valceresio a inizio marzo, anche se è l’unica del gruppo preadolescenti di Arcisate e deve aggregarsi al gruppo di Induno Olona (Va): “Mi sono trovata bene sia con gli educatori sia con le ragazze. Così sono partita”. “Mi ricordavo di san Francesco e santa Chiara – racconta Claudia –, ma quando sono arrivata lì ho incontrato anche Carlo. Mi sono emozionata molto davanti al suo corpo nella bara, non avevo mai visto nulla del genere. Mi hanno attratta soprattutto le sue mani, non saprei dire perché”.
“Mi hanno raccontato anche la sua storia – continua Claudia – il fatto che aiutava i poveri, e penso che questa sia una cosa molto coraggiosa”.
“Da quello che mi hanno detto era molto empatico e io mi ritrovo molto in questa sua caratteristica. Penso proprio che Carlo sia una persona da cui imparare, per avere più coraggio, per credere di più in se stessi. Una persona a cui ispirarsi”.
Edoardo, tredici anni, scout di Induno Olona con la passione per la pallavolo, ha partecipato allo stesso pellegrinaggio: “Ci sono andato perché Assisi è una città che volevo visitare ed è bello fare viaggi insieme agli amici. Di Carlo mi affascina l’idea che pur essendo un ragazzo giovane, faceva delle scelte un po’ controcorrente, come andare a messa la domenica invece che andare a giocare a calcio”. Edoardo riflette anche sulla santità: “È bello che un ragazzo come noi sia diventato ‘santo’. Questo vuol dire che tutti noi possiamo farlo. Secondo me essere santi significa essere vicini e legati a Dio e Gesù ed è possibile per tutti”.
L’esperienza di Vittoria, dodici anni, è un po’ diversa, lei non è stata ancora ad Assisi (ma progetta di farlo presto), eppure Carlo lo conosce bene perché, insieme ad altre sue compagne, ha fatto da guida alla mostra fotografica sul beato dal titolo “Uno di noi” che le Scuole Faes di Milano, hanno allestito a marzo nella sede di via Amadeo, il suo istituto. “Questa esperienza – racconta – ha cambiato il mio modo di pensare. Prima credevo che andare a messa e frequentare la Chiesa fosse un po’ una noia, una cosa che non mi veniva spontanea, ma ho capito che non è obbligatorio andare a messa, se lo si fa, si deve fare con il cuore”.
Di Carlo, Vittoria apprezza “il suo amore per l’Eucaristia e per la confessione come qualcosa che ‘ti libera’”.
L’Eucaristia quotidiana è un’abitudine di Carlo che stupisce “perché in pochi lo fanno”. Un’altra cosa che ha interessato molto i visitatori della mostra, racconta Vittoria, è la capacità di Carlo di trovare immagini molto efficaci: come la sua metafora della confessione come una mongolfiera (“La nostra anima è come una mongolfiera. Se per caso c’è un peccato mortale, l’anima ricade a terra. La confessione è come il fuoco sotto il pallone”, ndr) o la sua frase famosissima sugli originali e le fotocopie (“Tutti nascono originali, ma molti muoiono come fotocopie”, ndr).
Alessandro è un po’ più grande: ha sedici anni e frequenta il liceo scientifico presso le Marcelline di piazzale Tommaseo, lo stesso Istituto dove Carlo ha fatto le elementari e le medie. Ad Assisi ci è andato lo scorso ottobre con il gruppo adolescenti della sua parrocchia, la Comunità pastorale Santa Maria Beltrade e San Gabriele di Milano. Perché visitare la tomba di un santo, che sia san Francesco o san Carlo Acutis? “Credo che il motivo sia lo stesso che spingeva i pellegrini antichi: vedere con i propri occhi il corpo di uno che ha dedicato la vita a Gesù e che potrebbe essere un esempio per noi. Acutis era tra l’altro anche un giovane, quindi è l’esempio migliore per un ragazzo della mia età su come vivere l’amicizia con Gesù”. “E poi c’è anche il mistero e il fascino di vedere il suo corpo intatto – aggiunge Alessandro –. E il pregare su quel corpo, chiedendo una grazia in particolare o, semplicemente, un sostegno per la vita di tutti i giorni, per sé o per i propri cari”.
Nello stesso gruppo c’era anche Stefano, sedicenne, incaricato dal “don” di documentarsi e spiegare ai suoi compagni di viaggio chi era Carlo Acutis: “È stato bellissimo vedere come stavano ad ascoltare la vita di questo santo, quante cose è riuscito a fare nei pochi anni della sua esistenza”, racconta con entusiasmo. Stefano è affascinato dal tema delle reliquie: “I santi hanno lasciato un pezzo della loro storia sulla terra e noi abbiamo bisogno di quella storia per vivere meglio la nostra vita. Ancor di più se il santo, come Carlo, era un ragazzo come noi. Acutis ha vissuto i pochi anni della sua vita, in modo pieno, nella devozione all’Eucaristia, ma soprattutto nell’amore per i poveri, che cercava sempre di aiutare. Insomma, una vita vissuta trovando spazio per fare sempre del bene, e questa è una cosa stupenda perché aiutare il prossimo è il comandamento più grande che ci ha lasciato Gesù”.
@Foto Siciliani/Gennarino Sir