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di CLAUDIO CAMBEDDA 07 set 2023 12:39

Diritto: la riforma carceraria

In Italia è in vigore la legge n. 134/2021, avente per oggetto l’efficienza del processo penale, la giustizia riparativa e le disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari. Si tratta della riforma dei codici penale, di procedura penale e delle norme collegate, in coerenza con il notissimo “PNRR”, cioè il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il concetto di riforma implica il tentativo continuo di migliorare le leggi, e ciò avviene attraverso un cammino spesso faticoso.

Nel caso del processo penale vi è dinamismo, segno di vitalità: si passa dalla riforma denominata “Cartabia” a quella “Nordio” (dai nomi dei rispettivi Ministri in carica). Le attenzioni si concentrano sulla procedura, cioè sull’insieme della attività che portano al processo (quello vero e proprio in aula) e sulle altre regole, incluse quelle inerenti l’esecuzione della pena. Le ideologie politiche influenzano l’approccio alle riforme e la filosofia del diritto che le motiva. Sui temi di condanna penale, sanzione, esecuzione penale, sui concetti di “punizione” e “reinserimento sociale” del reo (il colpevole di reato), può esservi utile riflessione. Ci si può chiedere se una visione cristiana della vita, nella quale primeggia il principio del perdono, possa o meno confliggere con la richiesta da parte dello Stato di imporre la punizione per i rei. La sanzione auspica il contenimento della delinquenza a favore dell’ordine, della pace sociale, ma non dovrebbe applicarsi in modo “miope”.

Le carceri non devono essere “Città escluse” dalla società (come scriveva Giancarlo Zappa nel libro “La città esclusa”), luoghi di lunga cattività isolati dal mondo. E questo vale sia per problemi strutturali delle Case Circondariali, in crisi nel contenere numeri elevati di condannati, sia perché il reo prima o poi (perlomeno nei Paesi democratici nei quali è assente la pena di morte) rientrerà nella società ed occorre garantirne l’effettiva riabilitazione / ravvedimento. Ciò garantirebbe l’assenza di recidiva (il ricadere nella commissione di reati) ma anche – secondo una visione più ampia – il rispetto dei principi di buon senso comuni a Costituzione e Cristianità. Dovrebbero preferirsi i sistemi normativi nei quali la cura per la fase dell’esecuzione della pena, accanto alla giusta – purché equa – punizione, riavvicini i condannati alla comunità (libertà condizionata, lavori utili, avviamento al lavoro, sostegno scolastico, psicologico) offrendo loro una “chance” di reinserimento sociale. Insomma, parrebbe utile mantenere l’obiettivo di un sistema sociale mediato fra quello punitivo e quello basato sul perdono, previo ravvedimento.

CLAUDIO CAMBEDDA 07 set 2023 12:39