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di LUCIANO ZANARDINI 07 feb 2016 00:00

La devozione popolare fa paura?

Perché contrastiamo la devozione popolare? Cos’è che dà più fastidio? Perché siamo diventati così intolleranti?

La mia conoscenza di Padre Pio si limita a una veloce visita in quel di San Giovanni Rotondo. Nulla di più. Non ho, quindi, legami affettivi con il Santo di Pietrelcina. So solo che era sì una persona scorbutica (come molti ricordano) ma che era anche una persona circondata, anche in vita, da un’aurea di santità. La stessa gerarchia ecclesiastica ha faticato a comprenderne le qualità. So solo che, come San Leopoldo Mandic, passava ore e ore nel confessionale ad ascoltare penitenti che arrivavano da ogni parte del globo. E fin qui parliamo della confessione, un sacramento per i cristiani. Dio solo comprende il bisogno che nutriamo, ancora oggi, di essere ascoltati. Non a caso ci arrabbiamo troppo facilmente se ci accorgiamo che l’altro non ci presta attenzione… Le folle che muovono i Santi non sono poi così diverse da quelle che attirava Gesù nei suoi spostamenti. E i Santi non sono altro che uno strumento per avvicinarci a Dio. Certo a questa lunga lista possiamo aggiungere anche i Santi della quotidianità, quelle figure che ogni giorno incontriamo sul nostro cammino e che, difficilmente, finiranno sugli altari.

Detto questo, mi sembra di scorgere un sempre più strisciante costume che si straccia le vesti di fronte alla diffusione della devozione popolare. Il Fatto Quotidiano, solo per fare un esempio, ha utilizzato un titolo molto eloquente: “L’Isis non ci serve, il nostro Medioevo è qui con Padre Pio”. La “Jena” sulla Stampa con il suo consueto stile ha scritto: “Dal Family Day alle spoglie di Padre Pio, l’Italia galoppa verso l’evo moderno”. Ma perché contrastiamo la devozione popolare? Cos’è che dà più fastidio? Perché siamo diventati così intolleranti? Forse perché non comprendiamo fino in fondo le ragioni che spingono migliaia di persone ad andare in pellegrinaggio davanti alle spoglie del Santo, a Lourdes o a Fatima... Qualcuno cerca un aiuto, qualcuno magari lo fa (travisando lo strumento) anche per “superstizione”, qualcuno esprime un voto di ringraziamento, qualcun altro chiede l’intercessione per i propri cari. Tutti, però, si avvicinano in preghiera, sì la preghiera che, nella società dei consumi, è una delle poche cose dal sapore rivoluzionario: è gratuita e fa stare meglio.

Se togliete anche la devozione popolare, cosa rimane visto che le ideologie sono state superate dalla storia? Non è, quindi, una questione anacronistica o, come direbbe Il Fatto, un fenomeno da relegare al Medioevo (poveretto questo periodo così complesso che si trascina da anni il peso di una storiografia faziosa). Piuttosto sarà il caso di restituire valore alla devozione popolare, riportandola al suo significato essenziale: invocare e concedere misericordia. Solo così non resterà un mero fatto emotivo ma piuttosto una via che porti davvero a una conversione del cuore. E ne abbiamo davvero bisogno tutti. Anche quelli che si stracciano le vesti davanti alle processioni degli altri.
LUCIANO ZANARDINI 07 feb 2016 00:00