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di GUIDO COSTA 28 mag 2015 00:00

Sentenza a due facce

Sono 52mila i pensionati bresciani che ad agosto riceveranno buona parte di quello che avevano perso tra il 2012 e il 2103

Sono 52mila i pensionati bresciani che ad agosto riceveranno buona parte di quello che avevano perso tra il 2012 e il 2103 per il blocco degli adeguamenti legati all’andamento dell’inflazione. Si può essere contenti per loro, un po’ meno per la cagnara scatenata dopo la sentenza della Corte Costituzionale. A distinguersi nei festeggiamenti ci sono parlamentari che quattro anni fa votarono senza obiezioni il decreto “Salva Italia”; il blocco della indicizzazione delle pensioni superiori a 1.443 euro mensili era infatti uno degli interventi di emergenza messi a punto dal Governo Monti, chiamato a salvare il salvabile in un momento drammatico per l’Italia e per questo obiettivo sostenuto da una larghissima e trasversale maggioranza parlamentare. La barca faceva acqua da tutte le parti e il Parlamento convenne con il Governo sulla necessità di intervenire anche sulle pensioni imponendo un sacrificio a coloro che ne percepivano una superiore di tre volte il minimo.

Palazzo Chigi confermò anche quanto deciso pochi mesi prima dal Governo Berlusconi: un contributo di solidarietà per i 33mila pensionati che percepiscono assegni superiori a 90mila euro l’anno. Nessuno dei due provvedimenti ha superato l’esame della Corte costituzionale che ha azzerato quello sulla indicizzazione perché non rispetta i principi di proporzionalità, mentre due anni fa aveva cancellato l’intervento sulle pensioni d’oro. Sentenze tecnicamente ineccepibili che aprono però molti interrogativi sui diritti tutelati e sui diritti disattesi a causa dei diritti tutelati. Macroscopica è la questione delle pensioni d’oro, ma anche nella difesa dell’integrità degli assegni che vanno oltre i 1.500 euro mensili ci sarebbe molto da dire. Dentro questa platea di circa 6 milioni di persone ci sono 531.752 baby pensionati che hanno lasciato il lavoro prima dei 50 anni e che ricevono un assegno molto più alto rispetto a quanto hanno versato nella loro carriera contributiva.

Le garanzie ripristinate dalla Corte finiscono così per svuotare di risorse i possibili interventi per gli esodati ancora senza tutele pensionistiche, per l’occupazione dei giovani, per la ricollocazione dei lavoratori più su d’età che la crisi ha messo fuori dall’attività produttiva. Al palo restano anche le emergenze vere del nostro sistema previdenziale, rappresentate dal 42,6% dei pensionati italiani con un assegno mensile che non arriva a 1.000 euro e dalla totale incertezza delle pensioni dei giovani. Siamo davvero sicuri che i “diritti acquisiti” non siano diventati dei privilegi?
GUIDO COSTA 28 mag 2015 00:00