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di PAOLO CORSINI 18 mag 2015 00:00

Visitare i carcerati

La sesta opera di mesericordia commentata da Paolo Corsini

Misericordiae vultus: questo il titolo della bolla di indizione del Giubileo che si aprirà a Roma l’8 dicembre prossimo, solennità dell’Immacolata Concezione, nel segno di una Chiesa che “preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore”.

Tra tutte le opere di misericordia quella che richiede di “visitare i carcerati” è certamente la più provocatoria, quella a più alta densità sapienziale, in quanto non indica semplicemente una piattaforma del vivere civile che in una società democratica dovrebbe essere garantita da un welfare comunitario capace di assicurare dovute tutele – la casa, la salute, il sostentamento –, ma si spinge a mettere in discussione un pregiudizio radicato, una distinzione che diventa separazione tra chi sta “dentro” e chi sta “fuori”, a superare una spaccatura irrimediabile tra innocenza e colpevolezza, tra delitto e giustizia. “Visitare i carcerati” segue per altro direttamente “curare gli infermi”.

Del resto M. Foucault ha denunciato come prigione e ospedale per taluni versi si confondono fino a quasi sovrapporsi: l’ospedale può diventare prigione e il carcere è un luogo di sofferenza, di privazione, di tormento e dolore, un’istituzione totale che sorveglia e punisce, l’emblema di un potere legittimato a limitare la libertà. Varcare la soglia del carcere attraverso la visita significa, dunque, testimoniare il limite del potere e arginarne il dominio, demistificare l’assoluto dell’umano che si intronizza a giudice.

Significa riconoscere il peso della solitudine e dell’umiliazione, del rimorso e della disperazione, e sondare un abisso che solo la pietà, l’accoglienza, la solidarietà possono in qualche modo fronteggiare. Condanna ed emarginazione, riscatto e redenzione: queste le tappe di una via crucis che la visita è destinata a percorrere, ancorata, com’è, a valori di civiltà per i quali il carcere, là dove si sconta una pena e si vive un’afflizione, spesso fino all’abuso, può e deve costituire possibilità di educazione, di recupero, di reinserimento, di restituzione alla comunità nel nome di una giustizia mite. Perdono e misericordia vanno però oltre perché, già nella visita, nell’incontro, si prefigura la riconciliazione e nella gratuità del dono si autentifica il valore della carità. Che non è solo dare all’altro ciò che è suo, ma, al di là della giustizia, offrire ciò che è mio. Questa la ragione per la quale visitare i carcerati vale anche per chi si fa protagonista della visita.
PAOLO CORSINI 18 mag 2015 00:00