Edoardo Prati canta l'amore al Clerici
Dai social al palco, dalla letteratura al teatro. Giovedì 4 dicembre, alle 21.15, il palco del Teatro Clerici intonerà note d’amore, quelle interpretate da Edoardo Prati nel suo spettacolo “Cantami d’amore”, scritto insieme a Manuela Mazzocchi e Enrico Zaccheo, che ne cura anche la regia.
Per lo studente riminese classe 2004, che ha conquistato generazioni di giovani e meno giovani sui social con la sua passione per i classici, si tratta della prima fatica teatrale. Dall’antica Grecia a Roma, fino ai grandi pensatori moderni, Prati offre ai suoi follower inediti spunti di riflessione, collegando epoche diverse e svelando l’inaspettata attualità del pensiero antico. E così farà anche sul palco del Clerici, intraprendendo un viaggio tra letteratura e musica, attraverso le parole che i grandi poeti hanno scelto per cantare l’amore.
Che cos’è l’amore per Edoardo Prati?
Non lo sa nessuno e io non sono diverso. Io sono innamorato, questo sì. E so riconoscere l’amore quando appare. Tuttavia, non ne saprei dare una definizione empirica. Nella mia esperienza, lo sento molto negli abbracci. In questo spettacolo, ci sono tanti autori che parlano di amore: Dante, Cavalcanti, Tasso, Frida Kahlo... Proprio perché nessuno è riuscito a definirlo in maniera definitiva, il percorso di questo spettacolo cerca di toccare più prospettive possibili.
Qual è l’autore che ha un ideale d’amore più vicino alla sua sensibilità?
Fare una classifica è molto complicato, ma ci sono due voci contrastanti che mi rappresentano: la visione di un amore sfrenato, che supera le forze naturali e non ha limiti, come quello di Cavalcanti e quella più misurata, che vive del fedele consiglio della ragione, che Dante propone. Sono due prospettive che devono concorrere.
Dai social al teatro sotto il segno della letteratura. Come riesce a far convivere questi due linguaggi?
Si chiedono cose diversi a contesti diversi. Nei social c’è la possibilità di incuriosire, di raccontare, ma è sempre un rapporto uno ad uno. In teatro è un’altra cosa. Quando racconti una storia d’amore ad una platea, queste persone si riconoscono partecipi di una comunità reale che è fatta di corpi, che esiste e che è presente: riusciamo tutti a individuarci un po’ parenti perché abbiamo un sentimento che ci accomuna. Tutti sono stati o sono ancora innamorati. Questo crea qualcosa che sui social non sarebbe mai raggiungibile.
Quali riscontri e richieste riceve sui social? E dal teatro?
Dopo gli spettacoli, spesso, mi fermo e parlo con il pubblico. Sui social è più difficile, anche perché essendo tutto gratis, paradossalmente, ognuno si sente in diritto di giudicare e criticare. A teatro, nell’ora e venti di spettacolo, il pubblico si pone nella condizione reale dell’ascolto: la risposta è molto più emozionata, perché c’è in gioco l’attenzione che sui social viene inevitabilmente meno.
Sui social come in teatro riesce a parlare a tutte le generazioni…
Sì, raggiungo tutte le generazioni. Sia sui social che a teatro. Sono abbastanza avvezzo a questa comunicazione intergenerazionale: ho vissuto tanto con i nonni e, quindi, con le persone più grandi di me mi trovo benissimo. Il punto è che davanti ad un sentimento come quello che viene messo in scena c’è una purificazione dal punto di vista anagrafico. Il concetto vince sulla mia carta d’identità perché riguarda tutti, grandi e piccoli. È molto bello che la mia età non sia stata un limite.
A proposito di nonni, il suo bisnonno faceva l’illusionista. Salire sul palco è anche un fatto familiare?
Sì lo è. Il mio bisnonno ora ha 94 anni. Ha lavorato come impresario, ma nell’ultima parte della sua carriera ha fatto anche l’illusionista, dunque io sono cresciuto sotto il segno del teatro grazie a lui. Prima di andare in scena lo sento sempre.
Qual è l’augurio che si fa per il futuro?
Che l’idea di carriera e del lavoro che faccio non venga mai prima della mia verità. Quando si condivide la propria passione con così tante persone c’è il rischio che quella parte venga un po’ adombrata, mi auguro di non permetterlo mai.