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Brescia
di ROMANO GUATTA CALDINI 23 lug 2015 00:00

Ergastolo per Maggi e Tramonte. Milani: "Adesso si apra una riflessione su quegli anni"

Il commento del presidente della Casa della Memoria Manlio Milani alla sentenza che ha condannato all'ergastolo l’ordinovista veneto Carlo Maria Maggi e l’ex fonte dei Servizi Maurizio Tramonte

I giudici della Corte di Assise di appello di Milano, nella serata di ieri, mercoledì 22 luglio, hanno condannato all'ergastolo l’ordinovista veneto Carlo Maria Maggi e l’ex fonte dei Servizi Maurizio Tramonte, per la strage di piazza della Loggia del 28 maggio 74. Una sentenza che secondo molti commentatori apre una profonda riflessione sugli anni di piombo, sul ruolo di mandanti ed esecutori di innumerevoli episodi di violenza politica avvenuti a cavallo fra il 1969 e il 1980, una stagione aperta dalla strage di piazza Fontana a Milano. Di questo parere è anche il presidente della Casa della memoria Manlio Milani.

Possiamo dire che, almeno in parte, questa sentenza pone un punto fermo – direi imprescindibile - su quanto accaduto quel 28 maggio?

Sì, ma non soltanto in merito a ciò che è accaduto il 28 maggio ’74, ma per quello che è avvenuto nel quinquennio 1969 – 1974, a partire dalla strage di Piazza Fontana. Il fatto che simbolicamente tutto questo non si sia concluso nella sede naturale di Brescia mi spiace. Il fatto, però, che questo risultato sia stato raggiunto a Milano, a maggior ragione sottolinea il legame e la necessità di leggere quel quinquennio nella sua complessità e continuità perché è lì che noi ritroviamo le ragioni profonde del perché di quelle stragi, di quella storia, e non più soltanto chi è stato il gruppo operativo Ordine Nuovo che ormai viene certificato attraverso questa sentenza, come anche la collusione di uomini degli apparati dello Stato che pure questa sentenza ci certifica. Se vogliamo capire quello che è accaduto noi dobbiamo guardare all’insieme di quel periodo e allora scopriremo tantissime ragioni che possono valere anche per oggi.

“La verità rende liberi” si legge nel Vangelo di Giovanni (8,32). Il pronunciamento di ieri della Corte di assise, secondo lei, al di là della verità giudiziaria, può contribuire alla riapertura del dibattito sulle responsabilità politiche di quella stagione di violenza, giungendo a una verità complessiva su quegli anni?

Me lo auguro. Questo deve essere l’obiettivo. Oggi noi abbiamo una sentenza che ci dice che la verità storica e la verità giudiziaria s’intrecciano, abbiamo il punto fermo che nessuno può più dire che c’è un’alternativa all’area operativa eversiva che ha agito in quegli anni, ma non dobbiamo fermarci a questo, dobbiamo capire come ciò sia potuto avvenire anche all’interno dello Stato. Bisogna capire il perché delle coperture, in che termini sono avvenute, in che modi. Dobbiamo disvelare questi “meccanismi”, per comprendere quanto sia necessario, oggi, applicare sempre di più una democrazia della trasparenza.

Nonostante siano passati 41 anni dai fatti, le ferite inferte alla città di Brescia dalla strage sono ancora aperte, anche a fronte di una mancata elaborazione comune degli avvenimenti che caratterizzarono quella stagione. Pensa che questa sentenza possa, in un certo qual modo, riconciliare le varie anime della comunità?

Penso di sì. Dobbiamo avere però la forza di guardare ognuno la propria parte, ma anche qui sapendo entrare in dialogo, in relazione, con gli altri. Credo che Brescia abbia bisogno anche di una riflessione di questo tipo. Anche perché tutta la vicenda giudiziaria, non possiamo nasconderlo, è nata creando delle contrapposizioni. Oggi, però, quella stessa vicenda può concludersi definitivamente – attraverso questa sentenza – con un momento di riflessione che possa rimettere insieme la comunità attorno a questo fatto, ancor più di quanto già lo sia.
ROMANO GUATTA CALDINI 23 lug 2015 00:00