lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Brescia
di SERGIO ARRIGOTTI 21 dic 2018 10:09

Decreto sicurezza: quali conseguenze?

A poche settimane dalla trasformazione in legge, sono ancora molti gli interrogativi che restano da chiarire in materia di immigrazione. Gli attori coinvolti per ora si misurano con ipotesi e previsioni, come confermano Gabriele Zanni, sindaco di Palazzolo sull'Oglio e presidente di Acb, e Marco Fenaroli, assessore ai servizi sociali di Brescia che partecipa al coordinamento rete Sprar

Dopo che il parlamento ha trasformato in legge il decreto sicurezza sono in molti a domandarsi quali saranno le conseguenze del provvedimento approvato in tema di accoglienza e gestione dei profughi e dei richiedenti asilo. L’abolizione dei permessi di soggiorno per ragioni umanitarie finirà per riversare, come molti paventano, migliaia di persone sulla strada aumentando così il senso di insicurezza? Nei giorni scorsi il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, in un’intervista ha smontato questa ipotesi, gettando acqua sul fuoco delle preoccupazioni di tanti sindaci che vedono nelle misure del decreto la “fonte” di nuove forme di immigrazione illegale.


Tutto per il momento resta ancora nel campo delle ipotesi; pochi, a partire dalle Prefetture, sono quelli che si sbilanciano in previsioni. Restano isolati i casi di titolari di permessi di soggiorno per ragioni umanitarie costretti a lasciare i Cas, i centri di accoglienza straordinaria, mentre proprio nei giorni scorsi il Viminale ha presentato un dossier in cui conferma l’esistenza degli Sprar, anche se con la nuova denominazione di Siproimi, Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati. Nelle pagine del dossier è “confermata la sperimentata e proficua modalità di accoglienza integrata che vede i sindaci protagonisti” nei progetti (877 quelli finanziati, per 35.881 posti, con 1.825 comuni interessati e con più di 27mila persone accolte). Nonostante le rassicurazioni, però, alcune preoccupazioni continuano a sussistere, soprattutto sul fronte di chi materialmente gestisce l’accoglienza. Con la riduzione del contributo da 35 a 19 euro al giorno per ogni richiedente accolto c’è il rischio concreto che l’accoglienza si trasformi veramente in una mera questione economica. “Con le cifre indicate – è il parere condiviso dal mondo della cooperazione – non è possibile mettere in campo alcun progetto che punti all’integrazione. A malapena si pagano i costi dell’accoglienza alberghiera...” che qualcuno potrebbe vedere come opportunità di reddito...

Ragionamenti e riflessioni analoghe si stanno facendo anche nel Bresciano. Delle possibili ricadute del decreto sicurezza si sta interessando l’Associazione comuni bresciani, come conferma il presidente Gabriele Zanni, sindaco di Palazzolo.


Che giudizio da dei contenuti del decreto?

Se astrattamente il decreto va a toccare tematiche che avevano bisogno sicuramente di essere migliorate o potenziate, in concreto è forte il timore che le misure adottate possano creare problemi soprattutto ai Comuni. Positivo ad esempio aver confermato l'aumento degli organici delle Commissioni per l'esame delle domande di asilo. L'aver abolito, invece, l'istituto della protezione umanitaria comporterà sicuramente una riduzione delle persone che potranno accedere all'accoglienza di secondo livello negli Sprar, dove davvero si cerca di integrare i migranti con uno status riconosciuto. Era un modello da salvaguardare e incentivare a dispetto dei CAS, che prevedendo grandi concentrazioni di persone non riescono a svolgere appieno quel ruolo. Tanto più che adesso non sono più nemmeno obbligatori in queste strutture ad esempio i servizi di alfabetizzazione.


Quali sono le ricadute concrete?

Il rischio è che volendo essere più restrittivi su alcune regole, cosa che non è di per sé negativa, si ottenga l'effetto contrario. Maggiore marginalità, più persone in condizione di clandestinità e più situazioni di insicurezza per le comunità locali. Anche il tema degli sgomberi, che giustamente afferma di voler tutelare la proprietà, si traduce in incombenze ulteriori per i Comuni che spesso non hanno le risorse, economiche e di disponibilità immobiliari, per far fronte alle situazioni che da questi interventi si originano. Ancora è presto per fare un bilancio delle ricadute pratiche di questa nuova norma sui cittadini e sugli amministratori, ma sicuramente vi è una forte preoccupazione per chi su questi temi in questi anni ha cercato di lavorare, non in un'ottica buonista, ma affrontando i problemi in maniera costruttiva, pragmatica, non dimenticando i diritti fondamentali delle persone e cercando di tutelare al meglio le proprie comunità.


Come reagiranno i comuni in merito alla situazione che si viene a creare?

Ovviamente anche la realtà bresciana è variegata e vi sono diverse sensibilità tra i diversi amministratori. C'è sicuramente chi ritiene che questi provvedimenti porranno un argine al fenomeno migratorio, da molti fortemente avversato, anche per come gestito in diversi casi. Ciò però non fa venir meno la bontà di esperienze virtuose.


Di incertezza parla anche Marco Fenaroli, assessore ai servizi sociali del Comune di Brescia. che partecipa al coordinamento della rete Spar.


Che giudizio dà dei contenuti del decreto?

La legge mette in difficoltà tutte le misure di accoglienza. Nega i permessi per motivi umanitari, che sono circa il 30% delle autorizzazioni che sono stati dati in questi anni. Questo meccanismo costringerà molte persone che sono qui come richiedenti asilo a finire in una situazione di illegalità, dato che il meccanismo dei rimpatri previsto dalla legge non funziona assolutamente. Anche in questi mesi di nuovo governo non si è allargato il numero dei paesi con i quali ci sia un accordo bilaterale per i rimpatri concordati. Si stima che questo produrrà, nel corso del tempo perché l’effetto non è immediato, altre 70/80 mila presenze irregolari in Italia.


Questo che ricadute avrà?

A mio giudizio, più che verso la criminalità, queste persone saranno costrette a lavorare in nero. È un meccanismo perverso, che va contro la storia dell’immigrazione italiana, che è sempre stata fatta per sanatorie, almeno sette negli ultimi 30 anni, per rendere governabile la presenza di persone che non hanno seguito percorsi legali per l’arrivo in Italia. La più grande è stata la Bossi/Fini che ha regolarizzato circa 600 mila immigrati. L’ultima fatta da Maroni è era destinata solo alle badanti. Ora con le frontiere chiuse da quattro anni si stima che ci siano circa 500 mila persone presenti irregolari per lavoro in Italia, che svolgono lavori illegali. L’errore più grave che è stato fatto, e che questo governo perpetua, è quello di avere bloccato i permessi per lavoro.


Come reagisce il Comune in merito alla situazione che si viene a creare?

Il lavoro che stiamo facendo è di richiesta alla Prefettura di chiarimento della situazione più delicate perché si dice che gli attuali permessi per motivi umanitari sono convertibili in permessi per lavoro. Ma il problema è appunto trovare un lavoro che consenta questo cambio. Ma in quanto tempo? E se non riesce, che fine fa? Ci sono poi molte situazioni di fragilità, persone con problemi di salute, di equilibrio. Abbiamo chiesto un incontro al Prefetto come rete Sprar, assieme ai 27 comuni che sono titolari di progetto, e anche con alcuni CAS gestiti da cooperative, per chiedere chiarimenti. Vorremmo impedire che questa situazione di non governo del fenomeno si tramuti in una ennesima emergenza. Si dice che altrimenti dovrebbero finire tutti per strada, e ciò rende l’idea della incertezza grave nella quale siamo. E’ una incertezza pesante perché la normativa di riferimento non è fatta per governare il fenomeno, ma per rompere il meccanismo dell’accoglienza, che con tutti i difetti che aveva consentiva di governare la situazione. Tra l’altro mentre i sistemi che funzionano sono quelli della micro accoglienza, la legge prevede i grandi centri di accoglienza, dove si sono determinate tutte le esperienze negative. Certo costa di meno. Oltretutto oggi vengono ridotti i compensi, praticamente al solo vitto e alloggio. Non si consente così tutta la formazione, i corsi di lingua italiana, che però non si può non fare. E che finiranno magari in capo agli enti locali. Il lavoro che come amministrazione stiamo facendo è quello di governare il fenomeno, anche in questa situazione di grande difficoltà.

SERGIO ARRIGOTTI 21 dic 2018 10:09