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Brescia
di ROMANO GUATTA CALDINI 30 nov 2018 15:48

La droga e questa stupefacente realtà

“Il grido e la speranza – Storie di giovani perduti e ritrovati”, un incontro - promosso giovedì scorso dalla Fondazione San Benedetto - con Silvio Cattarina, fondatore della comunità "L'Imprevisto". Le testimonianze di quattro ragazze uscite dal tunnel della droga

Secondo l’ultima Relazione europea sulla droga, l’Italia è il terzo paese dell’UE per uso di cannabis e il quarto per uso di cocaina, senza dimenticare il drammatico ritorno dell'eroina (+30%) e purtroppo anche delle morti per overdose cresciute del 9,7% invertendo un trend al ribasso che sembrava ormai consolidato. C’è chi, di fronte all’emergenza droga, sin dal 1990, non è rimasto indifferente, facendo di tutto per tendere la mano verso l’immane schiera di ragazzi e ragazze allo sbando. E’ il caso di Silvio Cattarina, originario di Storo, che proprio nell’ultimo decennio del secolo scorso, a Pesaro, ha fondato la comunità terapeutica “L’Imprevisto”. Ed è stato proprio un incontro imprevisto, quello con le educatrici della comunità pesarese, a salvare, dall’abisso in cui si erano trascinate, Laura, Sara, Martina e Anita. Le testimonianze delle quattro ragazze accompagnate da Cattarina sono state al centro dell’incontro “Il grido e la speranza – Storie di giovani perduti e ritrovati”, promosso dalla Fondazione San Benedetto, nell’auditorium Capretti giovedì scorso.

“Quello che più colpisce – ha sottolineato Cattarina -, a fronte delle tante storie che ho ascoltato in questi anni, è il fortissimo risentimento, la rabbia di questi giovani. Sono belli, sensibili, intelligenti ma, come diceva un noto prete brianzolo (don Giussani ndr), sono affettivamente scarichi. Michele Serra li definisce giovani sdraiati”. La ribellione che però cova sotto la cenere e che porta tanti ragazzi a non intravedere più la luce alla fine del tunnel ha subito evoluzioni, anche lessicali: “Prima - spiega - dicevano ‘mi drogo’, oggi dicono ‘mi faccio’. E’ come se volessero dire mi costituisco io, mi costruisco io, contro tutto e tutti. Senza cogliere il senso dell’esistenza. Ognuno viene al mondo in forza di una grande promessa, ma non c’è quasi mai nessuno a invitare i ragazzi a scoprirla”. Per Cattarina la prima lezione che devono apprendere i giovani è la prresenza costante di Dio, “che anche nei momenti peggiori, anche quando ti sembra crollare il mondo addosso, non ti abbandona mai”.

Dietro l’abuso di sostanze si cela un drammatico senso di solitudine e un profondo rancore nei confronti del mondo; il più delle volte, nei confronti della famiglia. Come nel caso di Sara che, appena 18enne, con due anni di comunità alle spalle, ha raccontato di un padre violento, di un passato in una famiglia affidataria. Della sua condizione incolpava la madre: “Mi sono sentita sempre abbandonata. L’unico modo che avevo per farle del male era fare del male a me stessa. Volevo dirle: ‘Guarda, non vedi che sto male’? Perché non mi aiuti?’. Ma il mio approccio era sbagliato”. Da qui la lunga discesa negli inferi della droga sino a quando ha varcato la soglia della comunità. “Mi sono sempre voluta arrangiare da sola – ha aggiunto -, non ho mai voluto chiedere nulla a nessuno”. Poi ha imparato a domandare, ha compreso che di là della coltre di dolore che permeava la sua esistenza c’era qualcuno pronto a tenderle una mano. Ma ci è voluto tempo e fatica. Le regole ferree per superare la dipendenza dalla droga le stavano strette, voleva scappare ma la fermezza di una educatrice l’ha aiutata a superare l’ansia, i sopraggiunti attacchi di panico. “Mi ha fatto vedere la luce nel fondo della mia esistenza – racconta – quella che prima non riuscivo a vedere”. A Sara, come alle altre ragazze, Cattarina ha chiesto un impegno superiore a quello che si esige solitamente dalle loro coetanee, una forza di volontà che non sapevano di avere: “Si chiede tanto – ha chiosato il fondatore della comunità – perché si vuole dare tanto”. Alla fine, il grido disperato, reso silente dalle sostanze, per queste giovani donne che oggi vivono insieme nella stessa abitazione in vista del graduale reinserimento nella società, si è tramutato nella speranza di saper guardare al mondo con occhi diversi. Lo ha testimoniato Laura che, con i suoi 19 anni e un lungo trascorso di eroina alle spalle, oggi confida: "Mi sveglio tutti giorni sperando di cogliere questa stupefacente realtà che mi circonda".

ROMANO GUATTA CALDINI 30 nov 2018 15:48