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Brescia
di REDAZIONE 23 apr 2018 08:47

Verità sulla vicenda della giovane Sana

Notizie contrastanti arrivano dal Pakistan, dove il padre e i familiari della vittima, non sarebbero sottoposti ad alcun procedimento giudiziario. Pubblicati i certificati medici

“In Pakistan è stata aperta un’inchiesta per capire cosa realmente sia successo”. E’ con queste parole che Raza Asif, segretario nazionale della comunità pakistana intervenuto a Brescia, durante una manifestazione di sabato scorso, sulla morte di Sana Cheema, la 25enne che voleva sposarsi con un italiano, ha annunciato l’iniziativa pensata per fare chiarezza. “Ci sono due versioni contrastanti, c’è chi dice che è stata uccisa ma altre fonti che è morta per un malore. In 48 ore aspettiamo di avere notizie certe», e poi ha aggiunto «di certo c’è che il padre e il fratello di Sana non sono in arresto». I connazionali della giovane morta in Pakistan si sono dati appuntamento in largo Formentone per condannare ogni forma di femminicidio.

Dal Pakistan i familiari della giovane Sana, confermano la morte per malore della figlia e i certificati rilasciati dall’ospedale in cui sarebbe stata ricoverata, che confermano il decesso.

La 25enni pakistana, che a Brescia aveva trovato la sua città, ha vissuto sino al novembre dello scorso anno nel quartiere di Fiumicello, ed era innamorata di un ragazzo che vive nella provincia bresciana, come lei cittadino italiano di seconda generazione. La relazione, secondo le dichiarazioni di chi conosceva la ragazza, non era accettata dalla famiglia che aveva pensato a un matrimonio combinato in Pakistan.

In attesa che le autorità competenti accertino la verità sull’accaduto, Brescia è tornata alla memoria all’agosto 2006 con il brutale assassinio di Hina Saleem a Sarezzo. La ventenne pakistana era stata uccisa dal padre, che sta scontando la condanna a 30 di reclusione per il brutale omicidio, ed era stata sepolta nell’orto della casa. In quei giorni si attribuì la causa del femminicidio al rifiuto della ragazza di sposare un cugino. Nel corso del processo che portò alla condanna del padre vennero alla luce, invece, dissapori sempre più aspri con la figlia e quello che tecnicamente, nella sentenza di condanna, venne definito “posssesso-dominio paterno e patriarcale”.

REDAZIONE 23 apr 2018 08:47