La storia disgustosa dei cecchini turisti
L’inchiesta sugli italiani che si sarebbero recati nella "città martire" per un gioco orribile riapre ferite di guerra e richiama a non abituarsi all’indifferenza e alla violenza.
“Turisti della guerra” o “cecchini del weekend”: così i media italiani hanno chiamato le persone che un’inchiesta aperta a Milano dal pubblico ministero Alessandro Gobbis sta cercando di individuare. Coloro che fra il 1993 e il 1995, nel pieno della guerra che sconvolse l’ex Iugoslavia, partecipavano al massacro di 11mila persone pagando le milizie serbo-bosniache per potersi appostare attorno a Sarajevo e sparare sui civili, donne e bambini compresi, come se si trattasse di una battuta di caccia. In base alle testimonianze raccolte, partivano da tutto il Nord Italia ed erano perlopiù simpatizzanti di estrema destra con la passione per le armi. Volavano a Belgrado con una compagnia serba e da lì proseguivano in elicottero. La fonte in questione, indicata con nome e cognome nel testo, sarebbe un ex 007 bosniaco, venuto a conoscenza del fenomeno attraverso i documenti di interrogatorio di un volontario serbo che era stato catturato. Informato, il SISMI sarebbe intervenuto per fermare questi viaggi.
Lo ha raccontato un ex 007 bosniaco allo scrittore Ezio Gavazzeni, il quale nei mesi scorsi ha depositato l'esposto in Procura a Milano che ha portato all'apertura di un'inchiesta per omicidio plurimo aggravato da motivi abietti e crudeltà. "I servizi bosniaci - ha scritto l'ex agente segreto - hanno saputo del 'safari' alla fine del 1993 (...) Abbiamo informato il Sismi all'inizio del 1994 e ci hanno risposto in 2-3 mesi: 'Abbiamo scoperto che il safari parte da Trieste. L'abbiamo interrotto e il safari non avrà più luogo'". Dopo di che, ha spiegato ancora la "fonte" indicata con nome e cognome, "il servizio bosniaco non ebbe più informazioni sul fatto che il safari si ripetesse a Sarajevo. Non abbiamo ottenuto dal Sismi i nomi dei cacciatori o degli organizzatori - ha aggiunto - dovrebbe esserci un documento del Sismi che attesta che nella prima metà del 1994 a Trieste hanno scoperto il punto da cui parte e che hanno interrotto l'operazione". Testimonianze e carte da reperire su cui dovrà fare chiarezza l'indagine del pm Alessandro Gobbis, condotta dal Ros dei carabinieri, emersa a luglio e partita di fatto ieri con un vertice tra inquirenti e investigatori, che hanno iniziato ad acquisire atti del Tribunale penale internazionale dell'Aia sull'ex Jugoslavia, dopo il deposito dell'esposto, coi legali Nicola Brigida e Guido Salvini.
A commentare questa vicenda che lascia sgomenti, che svela altri contorni disumani e getta altro orrore sul conflitto combattuto alle porte dell’Italia è Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi.
“Ciò che ho appreso, da una fonte in Bosnia-Erzegovina, è che l’intelligence bosniaca a fine 1993 ha avvertito la locale sede del SISMI (i servizi segreti militari italiani, ndr) della presenza di almeno cinque italiani, che si trovavano sulle colline intorno alla città, accompagnati per sparare ai civili”, si legge nell’esposto di 17 pagine datato 28 gennaio dello scrittore Ezio Gavazzeni, che ha portato all’apertura di un’inchiesta. Oltre agli italiani, ci sarebbero stati anche stranieri di altre nazionalità. Si sapeva che c’erano i cecchini a Sarajevo. Non a caso, il viale principale era stato rinominato "viale dei cecchini". Quando il 12 dicembre 1992 abbiamo percorso le strade di Sarajevo, sotto assedio da diversi mesi, con don Tonino Bello, don Albino e altri 500 tra donne e uomini disarmati, con la Marcia della Pace, ricordo ancora quell’uomo che mi tira per la giacca e, portandomi al riparo vicino ad una fontana dietro ad un muro, indicandomi le montagne mi dice: be careful, “snipers”! I cecchini!
Del resto, la voce che cecchini arrivassero anche da altri Paesi circolava da tempo. A guerra finita, poi, mi è capitato anche di vedere alcune delle postazioni nelle quali si sistemavano gli snipers. Ho visto anche casse di munizioni, made in Italy, sicuramente utilizzate per colpire gli abitanti di Sarajevo, dalle montagne che la circondano, durante l’assedio iniziato nell’aprile ’92 e terminato alla fine del ’95.
Confesso, però, che mai avrei immaginato di leggere sui giornali, in questi giorni, che “turisti cecchini” partivano anche dall'Italia alla volta di Sarajevo per sparare, pagando, su donne e bambini. Leggo su Avvenire di oggi 12 novembre: “Ritrovarsi a Trieste, prendere un aereo e volare a Sarajevo per sparare a donne e bambini, pagando le milizie serbe appostate sulle colline. Come un incubo orribile, dopo 30 anni, riemerge la storia dei ‘cecchini turisti’, fra cui ‘molti italiani’, che durante la guerra nell’ex Jugoslavia partivano per la loro caccia disumana. Vecchi ricordi e voci in queste ore si rincorrono: a riaprire il vaso di Pandora è stato un esposto presentato alla procura di Milano dallo scrittore giornalista Ezio Gavazzeni. Partito da un documentario del 2022, ‘Sarajevo Safari’, di Miran Zupanic, ha iniziato a scavare”.
La procura di Milano indaga. E speriamo sia fatta piena luce su questa vicenda abominevole. Restano alcune riflessioni da fare: cosa ha spinto queste persone? Quale motivazione li ha portati a pagare per uccidere? Una partecipazione a dir poco onerosa, visto che si parla di somme molto alte, per persone ricche quindi e che forse, godevano nel proprio ambito sociale e familiare anche di una buona rispettabilità.
Ma erano uomini che sparavano a bambini, donne, uomini, simili a quelli lasciati nella propria casa o nel proprio paese. Nel centro di Sarajevo c’è un giardino con un monumento sul quale sono scolpiti i nomi di tutti i bambini uccisi durante l’assedio.
Siamo nell’anno del Giubileo, un tempo per fermarsi, che invita alla conversione e a riflettere. Non è possibile fare l'abitudine davanti a questo scempio, a un gesto così spregevole e infame. Eppure, guardando qualche notiziario, sembrava ci fosse più passione e indignazione per il concorso di Miss Universo, che non per la notizia sui cecchini italiani a Sarajevo. Una notizia questa, raccontata, a mio avviso, in modo asettico, come se si parlasse dell’esonero di un allenatore di calcio. Se ci abituiamo anche a questo, rischiamo di abituarci a tutto. È la globalizzazione dell’indifferenza. Rischiamo di non sperare più in un mondo disarmato. Di non sostenere i giovani impegnati in tantissime esperienze di pace, a iniziare dal servizio civile. Ci abitueremo sempre più alle Fiere che espongono armi e le presentano ai bambini. Abituarci ad una serie di attività “formative” e “culturali” che educano alla guerra. E quando si apre anche solo uno spiraglio alla guerra, il rischio è che porta si spalanchi e tutto può succedere. Anche diventare cecchini per divertimento. Perché questa è la guerra, con tutte le sue aberrazioni"..