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Brescia
di R. GUATTA CALDINI 08 giu 2015 00:00

Paolo VI e quel patto fra la Chiesa e gli artisti

Il rapporto fra arte e fede nel magistero di Paolo VI è stato al centro dell'incontro organizzato dalla Fondazione San Benedetto, in occasione di Corpus Hominis-Festival della Comunità, al quale hanno partecipato mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia e fondatore della Fraternità San Carlo, Roberto Filippetti, studioso di arte e letteratura, e la scultrice Paola Ceccarelli. L'incontro è stato moderato dalla giornalista Paola Buizza

“Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno della bellezza per non sprofondare nella disperazione”. Da questo assunto, tratto dal Messaggio di Paolo VI agli artisti, ha preso le mosse la trattazione di mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia e fondatore della Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo, in occasione dell'incontro organizzato dalla Fondazione San Benedetto all'Università Cattolica di Brescia, venerdì 5 giugno, nell'ambito delle manifestazioni di “Corpus Hominis – Festival della comunità”: un percorso di costruzione sociale, culturale e civile della Diocesi bresciana.

Di “Pastorale della bellezza” ha parlato mons. Camisasca per descrivere l'attenzione del Beato Paolo VI nei confronti dell'arte, degli artisti. Più volte papa Montini, durante il suo pontificato, ha sottolineato la necessità di rinnovare il legame fra l'arte e la Chiesa, il legame con gli artisti, “custodi della verità”: “Se la bellezza è lo splendore della verità – ha infatti ricordato il porporato - non si può arrivare alla verità senza attraversare la bellezza”.

Termini come “verità” e “bellezza” sono stati più volte evocati anche dall'attrice Lucilla Giagnoni, che ha letto alla platea l'esortazione di Paolo VI del 7 maggio 1964 pronunciata nella Cappella Sistina celebrando la “Messa degli artisti”: “Sono mai venuti gli artisti dal Papa?” chiedeva il pontefice bresciano rivolgendosi ai 'paladini della bellezza' -. È la prima volta che ciò si verifica, forse. O cioè, sono venuti per secoli, sono sempre stati in relazione col Capo della Chiesa Cattolica, ma per contatti diversi. Si direbbe perfino che si è perduto il filo di questa relazione, di questo rapporto”.

Nella tempesta della modernità in cui Paolo VI si trovò a guidare la Chiesa al tempo del Concilio Vaticano II - “mantenendo sempre saldo il timone della verità e della tradizione apostolica” ha ricordato Camisasca - il pontefice volle richiamare attorno a sé la bellezza dell'arte, un rinnovato legame che si configurava come “la condizione necessaria per riportare all'uomo contemporaneo il tema della bellezza di Dio”. Era quindi necessario ritrovare “il carisma dell'arte”, ma per questo, dopo secoli di rispettive incomprensioni fra la Chiesa e gli artisti, con conseguenti allontanamenti e sporadici incontri, era necessaria una “tregua”: “Rifacciamo la pace? Quest’oggi? Qui? Vogliamo ritornare amici? Il Papa ridiventa ancora l’amico degli artisti?”. Sono queste le domande che echeggiarono nella Cappella Sistina in quel lontano '64. Esortazioni riproposte anche nel '65, al termine del Concilio.

Quella pace tanto invocata venne poi sancita? Qual è l'attualità del messaggio? Altre domande, queste, alle quali ha dato una risposta mons. Camisasca: “Il cuore del messaggio di Paolo VI in chiusura del Concilio era rappresentato dall'urgenza di un nuovo patto fra artisti e Chiesa contemporanea. Questo ci fa capire quanto, nel cuore di Paolo VI, questo tema fosse centrale, così da riproporlo in due anni consecutivi con diversa estensione ma con la stessa intensità”. “Parole che sono rimaste – continua Camisasca – e che ancora oggi sentiamo come se fossero nuove ogni volta”.

La bellezza come antidoto alla disperazione. Sta tutta qui l'attualità del Messaggio agli artisti, del messaggio all'uomo moderno che corre “il pericolo d'intraprendere un cammino verso il nulla” verso “una vita disperante e nello steso tempo verso l'attesa anelante a una voce, a una luce, a una bellezza”. “Quest'ultima, come la verità – ha ricordato Camisasca - è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini”.

Anche la contemporaneità è stato uno dei temi centrali dell'episcopato di Paolo VI. Nasceva all'epoca la necessità di trovare nuove forme di comunicazione fra l'uomo e la Chiesa, “per fargli sentire la necessità di Dio nella sua vita”. La chiave per aprire le porte della modernità era la bellezza: il punto d'incontro fra sacerdoti e artisti. “Se il sacerdote deve far comprendere agli uomini, in formule accessibili, la realtà del mondo di Dio, sono però gli artisti, che con le loro opere, sanno conservare a quel mondo – sono parole di Paolo VI – la sua ineffabilità, il senso della sua trascendenza”. La dinamica fra parola e corpo è la costante del Messaggio agli artisti, un “nesso profondo”, una vera e propria complementarietà fra sacerdozio e arte: “Senza l'arte – disse Paolo VI – il sacerdozio diventa balbettante e incerto”. Una nuova alleanza si era quindi configurata all'orizzonte del Concilio: “Ogni uomo, alla luce della bellezza - ha ricordato Camisasca, citando i dialoghi fra Paolo VI e Jean Guitton - può prendre coscienza della propria dignità interiore. La bellezza infatti è quella luce che porta alla scoperta il senso religioso dell'uomo”. Il ministero del sacerdote e la missione dell'artista, ambedue, seppure con modalità differenti, sono a servizio della dignità dell'uomo, trovando una comune radice con la presenza di Cristo nel mondo.

In virtù di questo connubio, a quasi dieci anni di distanza dal “Messaggio agli artisti”, Paolo VI volle dedicare parte dei Musei vaticani all'arte moderna “perche ci fosse un luogo di educazione alla bellezza e al sacro” come ha chiosato Camisasca, ricordando inoltre: “Nel discorso d'inaugurazione di arte religiosa, riconoscendo nell'artista moderno una soggettività che lo stimola a cercare più in se stesso che fuori di sé i motivi della sua opera, Paolo VI disse: 'Codesta anima, nell'anima dell'uomo spontaneamente religioso, perché religiosi siamo tutti in qualche misura, si dispiega talora qualche voce estremamente originale. Esiste ancora, in questo mondo arido e secolarizzato, e talvolta perfino guasto di profanazioni oscene e blasfeme, una capacità prodigiosa. Ecco la meraviglia che andiamo cercando: esprimere, oltre l'umano autentico, il religioso, il divino, il cristiano'”.

Per entrar nel cuore pulsante del pensiero di Paolo VI, per comprenderne appieno il substrato, Camisasca ha citato il filosofo francese Jacques Maritain che in “Arte e scolastica”, edito dalla bresciana Morcelliana, scriveva: “Il cristianesimo non facilita l’arte. Le toglie molti mezzi facili, ma per elevarne il livello. E nel mentre le crea queste difficoltà salutari, la sopreleva dal di dentro, le fa conoscere una bellezza nascosta che è più deliziosa della luce, le dà quello di cui l’artista ha bisogno: la semplicità, la pace del timore e della dilezione, l’innocenza che rende la materia docile agli uomini e fraterna”.

Di questo servizio a favore dell'uomo hanno dato testimonianza anche Roberto Filippetti, esperto di iconografia e iconologia cristiana, e la scultrice Paola Ceccarelli. Moderati dalla giornalista Paola Buizza, i due ospiti hanno dimostrato come l'alleanza fra la Chiesa e l'arte sia ancora viva e fonte d'ispirazione: “Il dono dell'arte è stato imparare di poter stare di fronte al mistero con stupore” ha commentato Paola Ceccarelli, spiegando come fra l'arte e la fede sussista ancora un legame profondo, un dualismo che il tempo non ha saputo scalfire.

La conclusione dell'incontro è stata affidata a Roberto Filippetti che ha esplorato le profondità impresse sulla tela da Caravaggio, “pennello della riforma cattolica”: “Sono forme ruvide le sue – afferma Filippetti – ma insieme commoventi, il pittore della realtà sporca ma aggraziata: lavata, cioè, dalla luce della Grazia”. Passando in rassegna la produzione del Merisi, soffermandosi sui particolari legami tra profano e sacro che caratterizzano Caravaggio, Filippetti ha inverato, ancora una volta, il patto che, nonostante tutto, da oltre 400 anni lega gli artisti e la Chiesa, il mondo, in tutta la sua carnalità, e la trascendenza.
R. GUATTA CALDINI 08 giu 2015 00:00