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17 set 2015 00:00

Comunità capaci di accogliere: non si improvvisa

Il vescovo Monari ha fatto sua una sollecitazione già espressa dalle Caritas lombarde: “Chi può, anche a Brescia, accolga". L'editoriale del n° 34 di "Voce" è di don Adriano Bianchi

Il Vangelo non fa sconti, basta rileggere il brano di Mt 25, 31-46. Il Papa è stato chiaro e concreto: “Ogni parrocchia, convento e santuario accolga una famiglia”.

Il vescovo Monari ha fatto sua una sollecitazione già espressa dalle Caritas lombarde: “Chi può, anche a Brescia, accolga”, e ha così dato autorevolezza a ciò che alcune comunità parrocchiali avevano già immaginato di fare.
Insomma, la misura della tragedia umanitaria che vede la migrazione da Paesi in guerra di quasi centinaia di migliaia di persone in Europa non può lasciare i cristiani nel ruolo di semplici spettatori.
Accogliere è oggi per un cristiano un dovere morale. È vivere in concreto e non a parole un’opera di misericordia corporale: “Ero forestiero e mi avete ospitato”.

È mettere in campo quella fantasia e passione per il Vangelo che permea la vita quotidiana. Così i bresciani hanno cominciato a muoversi. Le nostre parrocchie hanno iniziato a informarsi in Caritas, a guardarsi intorno, a uscire dalla reticenza e dalla paura che un tema spinoso come questo non fosse affrontabile poiché foriero, forse, d’inevitabili polemiche e confronti anche interni alle comunità cristiane.

I tempi e le esigenze pratiche e di legge che renderanno concreta l’accoglienza dei richiedenti asilo non saranno per tutti così immediati, ma il processo è iniziato e questo è ciò che più conta, anche se, a chi compete, bisognerà ricordare che si dovrà anche fare presto. Quel che però mi preme sottolineare è anche ciò che questa emergenza storica può introdurre nel nostro approccio pastorale. Mi spiego. Oggi siamo chiamati ad accogliere e forse non siamo pronti a farlo.

Cosa ci è mancato per formare delle comunità cristiane pronte a essere ospitali e accoglienti? Il tema è pastorale e insieme culturale. Quali segni in questi anni abbiamo espresso, quali attenzioni catechistiche e spirituali abbiamo seminato per formare dei cristiani con il cuore aperto e disponibile all’altro, al lontano, al diverso da noi? Come le comunità si sono attrezzate a vivere la traduzione del Vangelo nella società di oggi? Quanti Consigli pastorali, commissioni, collaboratori sono maturi per assumere con responsabilità questa e altre sfide che la storia presenta alla vita di una parrocchia? Come sanno progettare e portare avanti questi impegni? E quanto si è investito su questo percorso? O ci accontentiamo del parroco profeta che fa cose egregie,
ma che decide tutto in solitudine?

Davanti a questi profughi sarà certo importante il numero di quanti risponderanno all’appello, ma sarà altresì significativo capire come questa carità renderà più mature le nostre parrocchie.
17 set 2015 00:00