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Brescia
di MIMMO CORTESE 17 apr 2023 15:35

Guerra in Ucraina: ripartire dai colloqui di pace

Il riferimento principale, attorno al quale avvitano il loro fondamento i convinti assertori del sostegno armato e combattente all’Ucraina, da condurre fino alla vittoria militare sull’aggressore russo, è lo sventolamento dello spettro degli accordi di Monaco del 1938. Per costoro il tempo, lungo quasi un secolo da allora, è come se non fosse mai passato, come se nulla fosse accaduto, in Europa e nel mondo, da quella sciagurata congiuntura. D’altronde di “nuovi Hitler”, come Saddam e Gheddafi, contro i quali per codesti nessun’altra scelta oltre la guerra sarebbe stata possibile, ne abbiamo già visti in questi anni. Adesso ne abbiamo un altro, un altro caro amico parafascista delle odierne cancellerie occidentali fino a poche settimane prima dello sguainamento delle sciabole.

Immaginare che il movimento pacifista e nonviolento, cresciuto in questi decenni, sia una fotocopia dei cancellierati e delle opinioni pubbliche di gran parte dell’Europa uscita “vincente” dal trattato di Versailles, è un’infamia e una menzogna. Gli attivisti per la pace, il movimento nonviolento, non vogliono starsene quieti, essere “lasciati in pace” come i governanti delle nazioni occidentali degli anni trenta che acconsentirono, o fecero spallucce, all’ascesa e alla politica nazista per continuare i propri affari fondati sullo sfruttamento di proletari e contadini, come avveniva in tutta Europa e, peggio ancora, negli Stati Uniti, dove si aggiungeva la discriminazione e la brutalità razzista.

Fare finta che i conflitti armati scoppiati dal ‘45 a oggi si siano risolti positivamente, con il trionfo della libertà e della giustizia è una marchiana e risibile, se non fosse tragica, bugia. Ignorare che in gran parte del mondo tirannie, dittature e regimi armati e repressivi, da buona parte di quelli latinoamericani, passando per la caduta del blocco sovietico, fino al Sudafrica, non siano caduti con la forza e la violenza militare e armata ma con il prosciugamento del consenso, prima forma della lotta nonviolenta, attraverso la pratica della noncollaborazione, con la spinta e la lotta dei popoli, in grandissima parte non armata, e attraverso iniziative autenticamente diplomatiche, è un atto di disonestà intellettuale e di interessata malafede politica.

Scenario possibile?

Ogni volta che si mette al centro la “terra” – prima, o al posto, dei diritti, della dignità e della libertà che a ogni uomo e ogni donna debbono spettare – si creano i presupposti perché quel terreno possa intridersi di sangue. I nazionalismi nascono tutti, sciaguratamente, da qui. Per questa via la guerra in Ucraina finirà quando il sangue versato avrà inzuppato integralmente le campagne, le piazze, le città di quel lembo d’Europa. Ed anche allora non sarà “finita”, come si può verificare – un esempio tra i molti, purtroppo – solo gettando una rapida occhiata nei Balcani e nelle terre della ex-Jugoslavia.

Credo che solo partendo dai diritti delle persone, dalla garanzia e dal rispetto della loro salvaguardia, si potrà arrivare ad una pace giusta e condivisa. Non certo dal punto nel quale gli aggressori putiniani pensano si possa piantare una bandiera, oppure qualche sciagurato governante europeo immagina ci possa essere una “ragionevole” spartizione di sovranità territoriale. Vanno salvaguardati diritti, cultura, storia e tradizioni di tutti e tutte, russofoni, ucrainofoni e di qualsiasi altra lingua e provenienza. Occorrerebbe un grande impegno dell’ONU e dell’Europa in questo senso. Dovevano già farlo, ahimè, nel 2014. Ma non è mai troppo tardi. L’Ucraina dovrebbe entrare nell’UE, certamente, dimostrando la presenza di una democrazia stabile nonché il rispetto delle regole di uno Stato di diritto e la capacità di dare attuazione agli obblighi nascenti dall’adesione. In particolare dimostrando il rispetto dei valori fondamentali dell’UE come la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza e il rispetto di una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla parità tra donne e uomini. La Nato, cascame di una storia fortunatamente morta e sepolta, la cui sussistenza resta a tutt’oggi incomprensibile, dovrebbe smetterla di seminare armi e ideologia guerresca, intrisa di distruzione, di violenza e della cultura patriarcale fondata sul convincimento che la supremazia della forza sopraffattrice sia uno strumento di difesa e di liberazione. L’Europa dovrebbe ribadire e rendere effettiva la scelta di non avere separazioni e confini interni, abbattendo muri, fili spinati, centri di detenzione per stranieri, attuando politiche di solidarietà e condivisione; lavorando contemporaneamente ad accordi di cooperazione disarmata, sotto il segno del reciproco rispetto dei diritti umani e civili, con la Russia. Difficilissimo, non c’è dubbio, ma occorre provarci e impegnarsi lì. A meno che non ci importi di quante persone verranno uccise e violate. A meno che non pensiamo che con una violenza militare ancora più devastante troveremo giustizia e un mondo migliore.

Una proposta

L’ONU è bloccata dai veti russi e cinesi posti nel Consiglio di Sicurezza ma alcune iniziative si possono prendere attraverso l’assemblea generale. La risoluzione 377 A lo prevede e alcune indicazioni sono state già date. Tuttavia si può fare ancora di più. Il Vaticano – l’unico autentico e credibile soggetto internazionale che ha mantenuto una fondata equidistanza attiva in questa pericolosa congiuntura – potrebbe porsi, partendo dal consesso delle Nazioni Unite, alla testa di una forza di interposizione di pace internazionale cercando di raccogliere attorno a sé il maggior numero di paesi interessati alla cessazione delle ostilità. Un vero e proprio contingente internazionale di caschi biancooro che dovrebbe dispiegarsi nelle zone di guerra a condizione del ritiro di ogni altra forza armata presente sul campo. Contingente formato sia da forze armate (la cui guida potrebbe essere uno dei comandanti delle guardie svizzere) che da preparati operatori civili (caschi bianchi) con il compito di proteggere tutta la popolazione presente nelle zone di guerra, di mantenere la sicurezza, di garantire i diritti di ognuno ed ognuna, di ripristinare i minimi e basilari elementi per una ripresa della vita civile, sociale ed economica di quei territori. Il contingente dovrebbe adoperarsi inoltre per cercare di favorire, nei limiti del possibile, un primo percorso di ricucitura delle relazioni, sia personali che pubbliche, tra gli uomini e le donne di quelle zone, collaborando con i gruppi e le associazioni presenti sul territorio.

Contestualmente, sul piano diplomatico, il Vaticano e lo stesso gruppo di paesi che aderisse a questa proposta dovrebbe provare ad avvicinare le parti avviando colloqui di pace indirizzati, naturalmente, ad un loro successivo ed effettivo sviluppo, e chiusura, nell’ambito delle Nazioni Unite. Si dovrebbe senz’altro ripartire dai colloqui e dagli accordi di Minsk del 2014/15, i quali contenevano elementi che vanno ripresi e rafforzati attraverso un impegno forte e preciso degli stati dell’Unione Europea e di tutta la comunità internazionale.

È del tutto evidente, tuttavia, che senza un cambio netto di rotta nelle relazioni internazionali, fondate su un disarmo generalizzato, sul rigetto di ogni nazionalismo, su politiche economiche e sociali inclusive e di cooperazione, attivando sistemi di ampia e generalizzata redistribuzione delle ricchezza, mettendo al centro la salvaguardia e la cura dell’ambiente e del pianeta, abbandonando posizioni distruttive e insostenibili sul piano energetico ed ecologico, ogni scelta potrà avere solo un respiro asfittico, se non risultare velleitaria.

Verità e giustizia

Le determinazioni della Corte Penale Internazionale, con l’accusa a Putin di crimini di guerra sono un fatto serio e significativo. Non casualmente la CPI, sin dalla sua nascita è stata osteggiata, e non ha mai avuto la sottoscrizione, o la ratifica, tra gli altri, di Russia, Cina, Ucraina, Israele e Stati Uniti. Tuttavia questa congiuntura potrebbe essere il momento buono affinché anche la Corte possa aprirsi ad avviare e sostenere autentici percorsi di giustizia riparativa, ispirandosi e prendendo a piene mani dalla fondamentale esperienza sudafricana della Commissione per la Verità e la Riconciliazione voluta da Nelson Mandela e Desmond Tutu. La forza di interposizione internazionale potrebbe dare anche su questo terreno un contributo raccogliendo le prime testimonianze su quanto accaduto durante l’ultimo anno, ma anche durante tutto il lungo periodo di crisi precedente l’invasione russa.

Mandela e il Sudafrica, come altre decine di esperienze in tutto il mondo, dal secolo scorso a oggi, hanno non solo dimostrato che ci sono altre strade per risolvere i conflitti più esacerbati e sanguinosi ma ci hanno anche indicato una strada per risanare le profonde ferite della violenza inferta sugli uomini e le donne durante lunghi anni di repressione, abusi e di brutalità. La doppia e parallela strada delle pene capitali, o delle detenzioni a vita, e delle amnistie più o meno generalizzate, non ha mai guarito nessuna ferita, non ha mai spento alcun incendio. Inoltre non ha mai aperto la strada ad alcuna riconciliazione poiché non si è mai posta la domanda del punto di vista dell’altro, dando per acquisito e scontato che la ragione stia sempre e solo tutta da una parte, quella del vincitore.

La guerra

Chi oggi sta lottando per la pace è consapevole che più si allarga e si amplia la strada delle armi, più si ha bisogno di potenza distruttiva e sopraffacente per il raggiungimento della vittoria sul campo. Chi afferma che oggi il rafforzamento della strada militare è indispensabile e prodromico alla strada diplomatica non si accorge, o ipocritamente nasconde, che quel terreno – per questa via – da primario diventerà inevitabilmente unico. A maggior ragione considerando che una delle parti ha l’arma atomica a sua disposizione.

Chiedere di procedere fino alla sconfitta del nemico, ha come corollario logico la cancellazione di ogni dialogo, di ipotetici ponti, di qualsivoglia mediazione. Per questa strada anche l’opinione pubblica dei paesi europei e del consesso internazionale è spinta inevitabilmente ad accogliere la visione (divisione) dell’amico/nemico come unico metro di giudizio, radicalizzando le posizioni nella sterile, infantile e conseguentemente indistruttibile contrapposizione tra buoni e cattivi, approfondendo vieppiù sospetti, complicità, diffidenza tra i popoli europei laddove occorrerebbe stringere legami, consolidare esperienze condivise, affratellare uomini e donne del continente.

Nessuna persona ragionevole può acconsentire ad un disastro annunciato, nel cuore dell’Europa, di così immense dimensioni.


“Fai la tua piccola parte di bene dove ti trovi, sono queste piccole parti di bene messe insieme che riempiono il mondo“. Desmond Tutu



Fonte https://mimmocortese.wordpress.com

MIMMO CORTESE 17 apr 2023 15:35