Bisogna imparare a risolvere i conflitti
“Sto guardando quel cartello ‘Smilitarizziamo mente e territorio’. Stiamo parlando di pace. Ma voi sapete che le azioni che in alcuni Paesi rendono più reddito sono le fabbriche delle armi? Questo è molto brutto”. Così Papa Francesco, partecipando all’incontro “Arena di Pace – Giustizia e Pace si baceranno”, ha risposto alle domande di alcuni rappresentanti dei diversi Tavoli di lavoro, nell’Arena di Verona. “Che cosa brutta preparare alla morte”.
Il Pontefice si è rivolto ad Annamaria Panarotto delle mamme No-Pfas di Vicenza, un gruppo di genitori che si batte contro l’inquinamento dell’acqua che uccide i propri figli, e a Vanessa Nakate, giovane attivista per il clima ugandese. Soffermandosi sulla rivoluzione digitale che ci ha permesso di essere sempre connessi, il Papa ha ribadito che “dovremmo avere più tempo a disposizione ma ci accorgiamo che siamo sempre in affanno”. “Sentiamo che tutto questo non è naturale. Nella nostra società si respira un’aria stanca. La pace non si inventa da un giorno all’altro, va curata. Nel mondo oggi c’è questo peccato grave: non curare la pace. Il mondo è in corsa. ‘Rallentare’ può suonare come una parola fuori posto, in realtà è l’invito a ricalibrare le nostre attese e le nostre azioni adottando un orizzonte più profondo e più ampio. Si tratta di fare una ‘rivoluzione‘ in senso astronomico: andare a cercare la pace. La pace si fa col dialogo. Riconoscere gli altri”. Infine, l’invito a “fermare le aggressioni”, che “si moltiplicano”.
“La cultura fortemente marcata dall’individualismo rischia sempre di far sparire la dimensione della comunità – dove c’è individualismo forte sparisce la comunità, e questo forse è la radice delle dittature –. Spariscono la dimensione della comunità e dei legami vitali che ci sostengono e ci fanno avanzare. E inevitabilmente produce delle conseguenze anche sul modo in cui si intende l’autorità”. Così Papa Francesco, partecipando all’incontro “Arena di Pace – Giustizia e Pace si baceranno”, ha risposto alle domande di alcuni rappresentanti dei diversi Tavoli di lavoro.
Il Pontefice si è rivolto a Mahbouba Seraj, venuta qui, ad Arena 2024, da Kabul in Afghanistan, assieme a Giulia Venia del gruppo di lavoro sulla democrazia. “Chi ricopre un ruolo di responsabilità in un’istituzione politica, oppure in un’impresa o in una realtà di impegno sociale, rischia di sentirsi investito del compito di salvare gli altri come se fosse un eroe. E questa avvelena l’autorità. E questa è una delle cause della solitudine che tante persone in posizione di responsabilità confessano di sperimentare, come pure una delle ragioni per cui siamo testimoni di un crescente disimpegno”. “Se l’idea che abbiamo del leader è quella di un solitario, al di sopra di tutti gli altri, chiamato a decidere e agire per conto loro e in loro favore, allora stiamo facendo nostra una visione impoverita e impoverente, che finisce per prosciugare le energie creative di chi è leader e per rendere sterile l’insieme della comunità e della società”. “Nessuno esiste senza gli altri – ha osservato il Papa –, nessuno può fare tutto da solo. Allora l’autorità di cui abbiamo bisogno è quella che innanzi tutto è in grado di riconoscere i propri punti di forza e i propri limiti, e quindi di capire a chi rivolgersi per avere aiuto e collaborazione”.
Infine, il Papa si è concentrato sulla partecipazione da “risvegliare nei giovani”, “grande sfida oggi”. “L’autorità per costruire processi solidi di pace sa infatti valorizzare quanto c’è di buono in ognuno, sa fidarsi, e così permette alle persone di sentirsi a loro volta capaci di dare un contributo significativo”.
“Se c’è vita, se c’è una comunità attiva, se c’è un dinamismo positivo nella società, allora ci sono anche conflitti e tensioni. È un dato di fatto: l’assenza di conflittualità non significa che vi sia la pace, ma che si è smesso di vivere, di pensare, di spendersi per ciò in cui si crede”. Così Papa Francesco, partecipando all’incontro “Arena di Pace – Giustizia e Pace si baceranno”, ha risposto alle domande di alcuni rappresentanti dei diversi Tavoli di lavoro.
Il Papa si è rivolto ad Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e a Sergio Paronetto di Pax Christi. “Da un conflitto mai si può uscire da solo, ci vuole la comunità. Da un conflitto si esce per essere migliori, da sopra. Dobbiamo essere capaci di dare nomi ai conflitti e prenderli per mano. E uscirne da sopra e accompagnati”.
Guardando alla politica, il Pontefice ha ribadito che “quando nella politica si nascondono i conflitti, scoppiano dopo e scoppiano male”. “Né in famiglia né nella società si possono nascondere i conflitti – ha aggiunto –. Per questo, quando ci sono problemi in famiglia, dobbiamo parlarne e chiarirli. Quando ci sono problemi nella società dobbiamo condividerli. Ma da solo non si esce”. Un’altra “risposta dal fiato corto” è quella di “risolvere le tensioni facendo prevalere i poli in gioco e questo è suicidio perché si riduce la pluralità di posizioni a una unica prospettiva”. “L’uniformità non serve, serve l’unità. E per avere l’unità occorre lavorare con i conflitti. Non avere paura dei conflitti, bisogna imparare a risolverli. Siamo chiamati a lasciarci interpellare dal conflitto per metterci alla ricerca di come risolverli, dell’armonia”.
@Foto Vatican Media/Sir