lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Brescia
di MASSIMO VENTURELLI 28 feb 2025 10:34

Chi è Branduardi? Un trovatore

Debutterà venerdì 7 marzo alle 21.15 al Teatro Clerici di Brescia “Il Cantico”, il nuovo progetto artistico che Angelo Branduardi, anche su sollecitazione dei frati francescani, ha pensato in occasione degli 800 anni dalla stesura del Cantico delle Creatura del “poverello di Assisi”. Branduardi è un musicista dalle mille definizioni e artista capace di andare oltre il tempo e le mode, come dimostra il successo che lo accompagna da più di mezzo secolo. Del segreto di questo rapporto inossidabile con il pubblico, del nuovo progetto che lo vede tornare sul palcoscenico e di tanto altro ancora, l’artista ha parlato a “Voce”.

“Il Cantico” è il titolo scelto per il nuovo progetto che proporrai per la prima volta a Brescia. Di cosa si tratta e in cosa si differenzia rispetto ai lavori del passato che hai dedicati al Santo di Assisi?

“Il Cantico” è un progetto che si pone in ideale continuità con “L’infinitamente piccolo”, uno spettacolo che avevo realizzato anni fa. Per questo nuovo lavoro mi sono concentrato sui pochissimi testi autografi esistenti di Francesco d’Assisi e su una selezione dei Fioretti, brani di grandissimo valore poetico. Rispetto al progetto che li ha originati, ne “Il Cantico” questi testi sono eseguiti in una maniera nuova, che non altera, però, la loro riconoscibilità. Non ho voluto stravolgerli e con gli altri quattro musicisti che salgono con me sul palco proponiamo un’interpretazione acustica degli stessi. Non ci sono sequenze (basi preregistrate), playback, autotune. Di Francesco si conosce tutto, ma ci si dimentica sempre di dire che è stato anche un grande artista, il primo poeta della letteratura italiana. Il Cantico di Frate sole è considerato il primo componimento poetico della nascente letteratura italiana. Dante arriva solo 100 anni dopo. Sulla scorta di tutte queste considerazioni è nato “Il Cantico”, un concerto in due parti, con la prima dedicata appunto all’esecuzione dei testi di Francesco e dei suoi fioretti. Nella seconda, invece, riproponiamo tanti pezzi conosciuti, successi della mia carriera, ma anche tanti altri brani che ho inciso senza mai eseguirli in pubblico, proprio per dare un taglio netto ai concerti del passato.

Perché l’idea di un nuovo spettacolo su Francesco d’Assisi?

L’idea de “Il Cantico” non è stata mia, ma dei francescani, che cercavano il modo di celebrare gli 800 anni del Cantico delle creature. Personalmente avevo molti dubbi perché credevo mi chiedessero di progettare qualcosa di molto vicino alla musica devozionale non mi appartiene. Mi hanno, invece, convinto quando hanno specificato che si trattava di mettere mano a qualcosa di estremamente rigoroso dal punto di vista filologico. Avrei dovuto mettere in musica ciò che Francesco aveva scritto, senza nemmeno il più piccolo intervento sui suoi testi. Il progetto era affascinante ma anche molto difficile. Pensavo di metterci molto nel concepirlo e, invece, tutto si è rivelato più semplice di quanto potessi immaginare. Dall’idea al progetto sono passati solo tre mesi.

La tua carriera è costellata di incontri particolari: Francesco d’Assisi, San Filippo Neri, Hildegarda von Bergen… santi, mistici… Qual è il segreto per fare di questi incontri progetti capaci di affascinare il grande pubblico?

Non lo so! Credo sia opera della potenza della musica. La musica è qualcosa di misterioso per gli effetti che sa provocare. Ennio Morricone, con cui ho avuto modo di collaborare, amava ripetere che essendo la musica la più astratta tra tutte le arti è anche la più vicina all’assoluto: ogni nota che viene suonata parte dal palco, attraversa la platea e non vi farà più ritorno se non in un’altra veste. Essendo Ennio un credente è chiaro che, quando parlava di assoluto intendeva fare riferimento a Dio. La musica, però, dà una forma di speranza alla pace. San Francesco aveva un oboe d’ebano e argento da cui non si separò mai. Gli era stato donato dal più grande (almeno apparentemente) dei nemici della Chiesa, il sultano di Babilonia Malik al-Kamil, con cui era entrato in contatto e con cui aveva discusso del rapporto tra i cristiani e i seguaci dell’Islam ottenendo per i francescani il permesso di muoversi in Terra Santa. Francesco suonava quell’oboe per avvicinare la gente a cui, poi, parlava di Dio anche a chi Dio non lo conosceva.

“Il Cantico” è suggello significativo di una carriera che ha superato nel 2024 i 50 anni…

Sì, anche se in realtà la mia carriera ha qualche anno in più. Mancano gli anni della gavetta, manca il primo disco che pubblicai nel 1972 ma che venne mandato al macero perché venne ritenuto brutto, anche se conteneva “Confessioni di un malandrino” e altri brani che poi sono diventati successi. Il disco che ha segnato l’avvio della mia carriera, appunto tra il 1974 e il 1975, in realtà era il secondo. Dopo mezzo secolo, dunque, posso dire, prendendo a prestito le parole di Vittorio Gassmann, di avere un grande futuro dietro le spalle.

In mezzo secolo sono state date di te e della tua musica molteplici definizioni. Qual è, tra le tante, quella in cui ti sente più a tuo agio?

Francamente non lo so. C’è, però, una frase bellissima di un trovatore tedesco sconosciuto dell’anno Mille che dice: “Io sono il trovatore. Sempre vado per terre, paesi e città. Ora che sono giunto a questo, lasciate che prima di partirne, io canti”. È una frase bellissima perché descrive esattamente quello che faccio anch’io e che mi definisce alla perfezione. Io sono un trovatore.

Come si combina l’originalità con il successo, in un tempo in cui la musica sembra essere solo omologazione?

Sicuramente con il coraggio di cambiare quando si comprende che quello che si fa incomincia ad andare stretto. Per vent’anni ho fatto la rock star, riempiendo stadi e palazzetti. Poi mi sono ritirato per fare solo le cose che mi piacevano molte belle, altre meno. Ovviamente non dirò mai, nemmeno sotto tortura, quali sono le canzoni che appartengono a questa seconda categoria (ride, ndr).

La tua carriera e la strada che hai percorso di mettono nelle condizioni di poter dare qualche consiglio a chi, soprattutto tra i giovani, vede nella musica il proprio futuro. A un giovane bussasse alla tua porta per chiederti la chiave del successo cosa diresti?


Non lo so. Forse che la via del successo oggi è molto più difficile che in passato. Quando ero molto giovane si dava all’aspirante cantautore un periodo di cinque anni entro i quali doveva sfondare. In questo tempo di “apprendistato” le case discografiche sostenevano questi giovani anche da un punto di vista economico. Mettevano così in atti quella che era a tutti gli effetti un’opera di coltivazione e di sviluppo del talento. Era la stagione del talent scout che hanno dato davvero un grande contributo alla storia della musica italiana. Oggi tutto questo non c’è più. L’unico elemento di giudizio sono le visualizzazioni su YouTube o gli accessi su Spotify. Più questi numeri sono alti più un artista è considerato di successo e meritevole di essere prodotto. E’ sparita del tutto la gavetta, è sparito lo studio. Sono venuti meno quelli che nella musica erano definiti i “bridge”, i ponti di contatto tra un artista e l’altro. Questo ovviamente non significa che sulla scena musicale attuale non ci siano talenti. Tutt’altro. Uno di questi è Simone Cristicchi che conosco e apprezzo in modo particolare. La mia sensazione generale, però, è che la musica italiana oggi sia più povera che in passato e, forse, anche un po’ più provinciale.

La scena musicale odierna è dominata dal fenomeno del featuring, una collaborazione fra un artista principale e un ospite. Se anche tu ti dovessi cimentare con questa realtà con quali grandi musicisti ti piacerebbe collaborare?  


Per la verità prima che questo fenomeno prendesse il nome di featuring, ho sperimentato esperienze analoghe con grandi artisti nazionali e internazionali. Con Crosby, Still Nash, gruppo musicale statunitense folk rock, ho fatto una grande tournée europea. Analoga esperienza l’ho vissuta con Ritchie Evans. Mi sarebbe tanto piaciuto suonare con Pino Daniele, che se ne è andato troppo presto. Sono tanti i musicisti con cui suono volentieri. Nella mia carriera ho suonato anche il liscio, l’hard rock come supporto del gruppo en travesti “Il rovescio della medaglia”. Oggi, con l’avanzare dell’età, ho perso un po’ di questa versatilità, però resto disponibile a ogni esperienza.
Un’ultima domanda. A dispetto del grande avvenire… alle spalle, hai ancora qualche sogno nel cassetto?
No. Quello che volevo fare l’ho fatto, altro mi è stato commissionato. Non punto a fare nuovi dischi, ma a continuare a battere la strada intrapresa con “Il cantico” che mi consente di continuare a suonare ciò che mi piace dinanzi a un pubblico scarso o numeroso che sia.

Dopo tanti anni, il contatto con il pubblico ti emoziona ancora?
Sì, moltissimo. Forse ancora di più degli anni dei miei inizi.

foto Adolfo Ranise

MASSIMO VENTURELLI 28 feb 2025 10:34