Civiltà bresciana
A quella civiltà bresciana, specchio fedele di ciò che era ed era stata la città dell’uomo, doveva essere assicurata una casa che fosse memoria del tempo e stimolo per continuare a conservare il buono e il bene accumulato. Allora nacque e si rafforzò l’idea di un’associazione libera, aperta e generosa, senza altro scopo se non quello di dare visibilità e credibilità a una cultura unificata, capace di rafforzare la teoria degli insiemi e di salvaguardare il sapere e i saperi, le virtù e le idee, le utopie e le certezze, sommati e divenuti storia e testimonianza.
Quell’idea di associazione l’aveva coltivata a lungo don Antonio Fappani – prete, giornalista, storico, pensatore raffinato e raccoglitore instancabile di frammenti e briciole di civiltà vissuta – che alla conservazione e promozione di ciò che eravamo dava lustro e così elevata importanza, da indurre a credere che senza un poco di quel “come eravamo” la città dell’uomo sarebbe stata assai più povera e indifesa. Le carte accumulate da don Antonio (così tante che, accomodandole come mattoni, potevano diventare un nuovo palazzo Loggia), ognuna contrappuntata da note, richiami e nozioni utili a raffigurare persone e accadimenti, avrebbero dato alla nascente associazione tutto ciò che serviva per fare cultura, informazione e comunicazione, per promuovere dialogo e confronto e per offrire spazi alla ricerca di ciò che serviva a dare prevalenza al “bene comune”.
Quando Cesare Trebeschi, allora sindaco di Brescia, commentando quegli anni Settanta sciupati, bruciati e sbriciolati da violenze, incomprensioni, negazione del diritto di considerare la cultura un bene assoluto e la politica un servizio finalizzato al crescere della comunità e non un comodo parcheggio di vanità o come garanzia del proprio futuro, invocò per la sua e nostra città un soffio d’anima in più, un soffio capace di illuminare le coscienze così da renderle di nuovo orientate alla ricerca del bene che unisce, che trasforma i sassi in pane, che aggrega le forze migliori e le mette al servizio della gente, che esprime solidarietà e non semplice solidarismo di facciata, che arricchisce la politica di umanesimo, che individua spazi nuovi di impegno corresponsabile e coraggioso, che apre il cuore alla civiltà dell’amore e solo ad essa affida la sua speranza, don Antonio Fappani, direttore di questo settimanale, mise tra le sue e le nostre priorità (di noi che insieme a lui cucinavamo il foglio che si vantava di essere “Voce del Popolo”) la ricerca di modi tempi e spazi in cui far crescere e fruttificare la pianta di una civitas in cui dialogo, confronto, conoscenza, partecipazione, condivisione e servizio fossero elementi essenziali.
Il direttore, uno che aveva solidi motivi per vestire la giubba del maestro e per scrivere note e fondi su cui, volendo, chiunque poteva costruire cieli e terre nuovi, sapeva che avventurarsi su quel sentiero significava declinare il termine civiltà non più alla maniera antica, ma anche e soprattutto in maniera confacente al nuovo che avanzava, assegnandole cioè la responsabilità di indicare la rotta lungo la quale orientare il cammino della comunità. Lui, che aveva avuto ventura di incrociare i passi di Giovanni Battista Montini, aggiunse allora al nobile termine civiltà quel “bresciana” che serviva a renderlo identità di un popolo. In quell’essere e divenire “Associazione Civiltà Bresciana” erano racchiuse l’antica e nobile “civiltà bresciana”, ma anche tutti i presupposti – chiamatele virtù, se volete – per garantire ai tempi nuovi materiale su cui riflettere, pagine di storia da usare per far nascere e consolidare quella nuova civiltà che un illustre concittadino divenuto Papa voleva rivestita di amore, dialogo e confronto globali, senza confini, perciò capace di cambiare il mondo… Mentre vengono ricordati i primi 40 anni della Fondazione Civiltà Bresciana, l’auspicio di continuità per l’impresa, di rivalutazione e riproposizione dell’idea di una cultura unificata, unificante, buona e virtuosa, di ampliamento e consolidamento della vetusta, ma sempre attuale, teoria degli insiemi non è solo augurio di buon cammino, ma impegno a far nuove le cose, così da renderle degne d’essere vissute e condivise, qui e altrove, ovunque cresca la buona pianta della civiltà.