Cristiani: no alla diserzione dalla politica
In questo tempo senza bussola capita di leggere superficiali valutazioni su quale debba essere l’atteggiamento del cristiano verso la politica e verso la democrazia. Eppure, oltre 150 anni di Dottrina sociale della Chiesa, grazie a Encicliche illuminanti, hanno tracciato il percorso. La Chiesa cattolica non ha dubbi al riguardo. La politica ha un primato. È la più alta forma di carità (da Pio XI a Paolo VI), anzi la più “eminente forma di carità” (papa Francesco) ma perché? Perché non è equiparabile a un gesto di elemosina, non è la solidarietà breve che percepisce subito il ritorno del gesto di carità, ma è, al contrario, un’espressione di amore “attivo, intelligente e organizzato”, ovvero un amore in grado di incidere nella dimensione sociale, nelle “macrorelazioni, nei rapporti sociali ed economici” (“Caritas in veritate”). E quindi è un’alta forma di carità, poichè “organizza il bene, incide nelle strutture della società (leggi e forma delle Istituzioni), ha effetti profondi e duraturi nella società, previene e contiene il male sociale”. Per agire nel suo profilo coraggioso e profetico deve avere un primato: deve regolare e governare sia l’economia sia la tecnica. E non esserne asservita. La politica si legge nella “Laudato si’” “non può essere sottomessa all’economia e questa non può essere sottomessa al paradigma efficientista della tecnocrazia”. E tutto perché il cristianesimo è inveramento: sta nella storia e la politica, come amore sociale, è un pezzo della natura e dell’identità del cristianesimo.
Anzi nella “Laudato si’” si afferma con un’espressione tanto profonda quanto provocatoria in questi tempi di disillusione in cui fare e partecipare alla dimensione politica “fa parte della spiritualità che è esercizio della carità, in tal modo il cristiano matura e si santifica” (“Laudato si’”). La politica per il cristiano come stadio naturale di maturazione della propria spiritualità. D’altra parte, se il primo comandamento per il cristiano è amare, il perseguimento della civiltà dell’amore non può passare attraverso la costruzione e le politiche per sviluppare quella “cultura della cura”, verso la quale è necessaria una costante propensione. È “la responsabilità verso gli altri e verso il mondo” (“Laudato si’”) che ha come fondamento ineludibile la “fraternità universale”. È il “riconoscere ogni essere umano come fratello e cercare amicizia sociale che integri tutti” che fa del cristiano un protagonista della inclusione sociale e della dimensione non nazionalista, non introversa, ma universale. E nella “Laudato si’” tutto questo è indicato non come “una utopia”, ma come un indirizzo chiaro per costruire “carità politica”. L’alternativa che il cristiano deve osteggiare è “la distruzione di ogni fondamento della vita sociale”, è il “mettersi l’uno contro l’altro”, è provocare “nuove forme di violenza e crudeltà” (“Laudato si’”). Il cristiano diventa, quindi, il protagonista di una rivoluzione pacifica, fautore di quella dinamica che “spezza la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo”.
Occuparsi della politica è un dovere del cristiano; come scrive papa Francesco, “non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella politica”, ma tutti sono impegnati a pensare ed agire politicamente. Si può lavorare in “associazioni e organizzazioni non governative che esercitino una sana pressione sulle autorità politiche”, si possono compiere piccoli gesti che si prendano cura del luogo e dello spazio pubblico, ma si può e si deve anche “pensare a grandi strategie che arrestino il degrado ambientale e sociale e incoraggino una cultura della cura”. E tutto questo per non cadere nel pericolo della “indifferenza consumistica” o nella “allegra superficialità” (“Laudato si’”). Ora, come si conciliano queste parole così chiare con la fuga dei cristiani, nella loro dimensione individuale ed ecclesiale, dalla politica? Come è possibile tornare a far circuitare la passione e l’emozione della carità politica nelle nostre comunità e nel cuore di ragazzi e ragazze, quando il messaggio strisciante è quello dell’indifferenza e distanza dai processi sociali e istituzionali che caratterizzano questo tempo che, paradossalmente, necessiterebbe di un più acuto, coraggioso e provocatorio, pensiero politico e presenza di ispirazione cristiana? Si badi: non di un partito, non di uno schieramento, ma di un pensiero e di una pedagogia pubblica di ispirazione cristiana. Eppure, la Dottrina sociale della Chiesa e Pontefici illuminati non hanno scansato il tema, anzi hanno utilizzato parole forti e moniti non evasivi. Vigore e lucidità che dobbiamo riconquistare, se vogliamo stare nella storia, non come spettatori afoni, ma come attori di un bene duraturo.