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di ADRIANO BIANCHI 26 nov 2020 15:04

Il prematuro trauma del non Natale

L’ultima vittima del Covid è il Natale. Direte: ma come? Ci stiamo solo ora incamminando nell’Avvento e già cerchiamo di eleborare il lutto di una festività che ci appare inevitabilmente perduta? Pare di sì, se si dà credito alle lamentazioni che riempiono i giornali e agli sproloqui degli opinionisti nei talk televisivi.

“Il Natale di quest’anno sarà un non Natale!”. A ben guardare, in questo annus horribilis, l’ultima vittima eccellente, prima ancora del Natale che verrà, sembra essere, ancora una volta, l’Avvento, il tempo breve dell’attesa. Nel 2020 il Covid si aggiunge così a un declino ormai ricorrente e al consueto rito di una sempre più anticipata corsa ai consumi che, con le luminarie, le vetrine, la pubblicità di pandori e panettoni, annienta ogni possibile incisiva percezione di questo tempo liturgico schiacciato tra Halloween, Black Friday fino a Santa Lucia. Non sarà, invece, che proprio oggi, in era Covid, abbiamo proprio bisogno del tempo di Avvento?

A pensarci bene il suo significato e i suoi valori non sono estranei a quanto abbiamo nel cuore in queste giornate, anzi vi è più sintonia. Ci percepiamo sospesi? Il tempo ci risulta rubato, vuoto, incapace di farci gustare la pienezza della vita? Ciò che sembra un’attesa senza senso e senza meta, passiva, snervante e senza prospettiva potrebbe riempirsi di senso incontrando le parole che la Chiesa propone in questo tempo forte e che anche il Vescovo ci ha ricordato. Perché non svuotiamo le nostre menti dai dati, dai discorsi monotematici e dalla nostalgia e non ci rimettiamo in ascolto di un’attesa che, in Avvento, ha il sapore della speranza, del desiderio di un’accoglienza fiduciosa, di un tendersi e attendersi fraterno degli uni verso gli altri, di un Dio che ci viene incontro? Non rinunciamo a pensare che anche questa è una stagione che vale la pena di essere vissuta! E se il prossimo Natale sarà forse un non-Natale, almeno nelle forme esteriori, il suo sapore avrà magari il tratto forte di questo Avvento. Senza troppi pranzi, abbracci e regali, ma non senza desideri profondi. Soprattutto non senza un Dio che non tarderà a visitarci e a farsi vicino a ciascuno.

ADRIANO BIANCHI 26 nov 2020 15:04

3 Commenti

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gabriele

Condivido. Significato e valori dell’Avvento, partendo dalle letture astratte e immateriali della Bibbia, ci portano alla scoperta (anzi, meglio, alla ri-scoperta, con lo stupore che ogni anno si rinnova) del Natale col quale il Dio immateriale diventa carne e ossa per noi uomini. Un Dio che si fa vedere, toccare, e dopo circa trent’anni trafiggere da noi uomini e per noi uomini. Il Natale richiama già la Pasqua: sarà altro luogo, ma ancora una Grotta, ancora altre bende, ancora altra mirra, ancora altri Angeli, ma ancora un altro Miracolo inaudito, al pari dell’Incarnazione, con la gloriosa Risurrezione.

Franco

Forse il sig. Gabriele si è espresso male. Da oltre trent'anni leggo con passione la Bibbia e ciò che racconta, a mio parere, è tutt'altro che astratto e immateriale. Come dice poi, ricorda che la nostra è una fede in un Dio che si fa carne (non astratta filosofia) e desidera porre la sua tenda nelle nostre situazioni concrete e quotidiane. Quindi è bello sapere, come mi sembra voglia sottolineare don Adriano, che proprio in questo Natale, se possibile, Gesù ci sarà ancora più vicino, invitandoci a puntare all'essenziale, al concreto del nostre essere uomini e donne amati da Dio. Buon Natale.

gabriele

La constatazione è che gli Ebrei, nostri fratelli maggiori nella stessa fede in Abramo, non hanno potuto vedere materializzata la promessa del Messia, che attendono ancora, a differenza di noi cattolici. Ecco, al riguardo, quanto sia illuminante il cantico di Simeone: “ Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutti i popoli; luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele...”.