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di MARCO COLOMBO 05 nov 2015 00:00

Io, genitore di un figlio down, vi spiego che è felice

Nel suo prometeico tentativo di diventare una "società perfetta", la Danimarca sembra procedere a tappe forzate nel progetto di eliminare tutti i soggetti affetti dalla sindrome di Down. Il commento del Presidente Centro Bresciano Down, Marco Colombo

Quello danese è un progetto di qualche anno fa, pensato con la dichiarata intenzione di arrivare nel 2030 senza un solo cittadino danese con la sindrome di Down. Politici che insieme a medici, filosofi ed economisti, con il supporto dei media, elaborino un piano che consenta di eliminare dalla loro società le persone ritenute indegne di vivere, è roba già vista nella storia anche recente. In Italia non ci sono leggi che perseguono questi obbiettivi, ma tramite l’associazione che presiedo, il Centro Bresciano Down, ho avuto modo di verificare nel corso degli anni che anche da noi, la diminuzione costante dei bambini nati con la sindorme Down è un fatto reale.

Le poche statistiche disponibili indicavano negli anni 90 un bambino Down ogni 700 nati, oggi le stime propendono per 1 ogni 1300. Nel corso degli anni sono stati implementati sistemi di analisi prenatale che accertano la presenza della trisomia 21 e in questo caso, più del 90% delle gestanti decide di interrompere la gravidanza. Eliminare il proprio figlio è sicuramente un dramma e nessuno può giudicare chi fa questa scelta, spiace però constatare che spesso, a questi genitori non sia dato il modo di riflettere su quanto stanno facendo. Non c’è un contraddittorio, il futuro diventa nero e ci si consola seguendo i suggerimenti di chi dice che bisogna abortire per evitare al bambino un vita di privazioni e sofferenze.

Il CBD ha tra i propri soci più di 150 persone con la sindrome di Down, quanti di questi preferirebbero non essere mai nati? Quale genitore sa che esistenza avrà suo figlio? Noi tutti desideriamo il meglio ma poi è la vita che decide. Le famiglie che si accostano all’associazione sanno bene che servono delle attenzione e dei sacrifici in più, per aumentare le abilità che la nostra società “normale” richiede ai loro figli. Nessuno fa miracoli ma se seguiti costantemente e forniti degli strumenti giusti le persone con la sindrome Down possono sperare in una vita piena e soddisfacente. Lo confesso, sono di parte, l’ultimo dei miei tre figli ha diciassette anni è alto, biondo, con gli occhi azzurri e oltre a queste sue caratteristiche nordiche, devo aggiungere che ha la sindrome di Down. Io e mia moglie l’abbiamo amato dal momento in cui è stato concepito, e questo amore non è cambiato quando ci hanno comunicato la sua condizione. Quando ti nasce un bambino con delle difficoltà sei circondato dalla compassione, dalla paura, da una società che ancora considera come “poverini” queste persone e chi è costretto da un fato ingiusto a condividere con loro questa tragedia. Sia io che mia moglie non l’abbiamo mai considerato un dramma e nel corso degli anni Tommaso è diventato una risorsa per tutti noi. Lui è un vulcano, non sta mai fermo, sempre a progettare e ideare nuove esperienze.

È felice? È un adolescente normalissimo. Ha dei desideri, pensa al futuro e assapora con gusto la vita ogni giorno, chiedetegli se avrebbe preferito non essere nato. Qualche altro genitore, forse, potrà dire il contrario ma se è l’amore e la speranza che vincono sull’egoismo non si deve mai temere nulla. C’è in effetti anche un’ egoismo di stato, dove alcuni burocrati considerano le persone in difficoltà come dei costi per la collettività, dimenticando che nella realtà sono delle opportunità lavorative per milioni di persone. Papa Francesco ci ricorda con forza che la teoria dello scarto crea vittime di ogni tipo, ma è l’umanità che esce perdente da questa situazione. Oggi il focus sono donne e uomini con la sindrome di Down, domani a chi toccherà? Non ci sono limiti, se le logiche che si usano per governare sono la sostenibilità economica di un individuo e non l’individuo stesso.
MARCO COLOMBO 05 nov 2015 00:00