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Brescia
05 feb 2015 00:00

L’antidoto dei gesti alla violenza

Il pilota giordano arso vivo dai militanti dell'Isis pone la necessità di una riflessione sulla violenza e il dialogo. L'editoriale del n° 5 di voce è di don Adriano Bianchi

Ancora una volta l’orrore dell’Isis viaggia sulla rete. In qualità quasi cinematografica, con una sceneggiatura studiata, una buona qualità fotografica, con inquadrature pensate e primi piani intensi tutti hanno potuto vedere la morte in diretta di un pilota giordano prigioniero dei terroristi.
Arso vivo con tanto di colonna sonora. I soldati schierati come in un film di guerra, la gabbia dove il prigioniero imbevuto di benzina attende l’esecuzione, il macabro scorrere di un flashback sulle vittime provocate dai bombardamenti e poi la condanna, il fuoco, lo strazio, la morte. Senza parole.

Una violenza che non ha fine, raccapricciante e insensata come tutte le violenze, ancor più disumana perché perpetrata nel nome di Dio.
La fede cristiana, lo stile del Vangelo ci spinge ancora una volta a non smettere di pregare e ad alzare la voce perché gli uomini non uccidano altri uomini, perché la via del dialogo resti il percorso principale delle religioni, di tutte le religioni. Un cammino comune da compiere nel rispetto reciproco e per rendere il mondo più giusto e pacifico. Certo è che questa crudeltà impressiona e non fa che alimentare lo smarrimento, la paura, il senso di insicurezza e la diffidenza dentro cui si alimentano ancora di più i focolai della violenza e del terrorismo.

Serve perciò un antidoto, quello dei gesti della fiducia e della speranza. L’annuncio di domenica scorsa di un viaggio di papa Francesco a Sarajevo il prossimo 6 giugno, ad esempio, è uno di questi. Un viaggio a sostegno del dialogo tra le religioni, una mano tesa in una città che è stata teatro di violenza gratuita in nome della fede. Sarajevo, crogiolo di popoli, etnie e fedi, è ancora oggi, insieme, segno di contraddizione e modello originale di convivenza fraterna. Il Papa sarà lì da testimone di pace, come lo fu Giovanni Paolo II. L’antidoto dei gesti della speranza però non ha solo bisogno dei gesti profetici dei grandi della terra, ci servono, per restituire fiducia ai nostri giorni, anche quelli del dialogo piccolo e quotidiano che si consuma nelle nostre Chiese, nei nostri territori e comunità. Come, ad esempio, non ricordare solo qualche mese fa l’incontro tra il vescovo Monari e gli islamici bresciani in Curia. Un incontro certo di condanna della violenza dell’Isis, di solidarietà per i cristiani perseguitati, ma anche di conoscenza e stima reciproca. Tutti l’abbiamo visto e ne abbiamo colto l’importanza. Non è un episodio isolato quello bresciano, nato attraverso la sintonia che entrambe le comunità religiose hanno espresso sui temi della difesa della vita e della promozione della famiglia, in un momento di dialettica anche a Brescia.
Segni, gesti, relazioni, valori forse più condivisi di quanto si pensi. Vita quotidiana insieme che forse andrebbe più raccontata.

Storie di amicizia, di buon vicinato, di bambini che giocano e crescono insieme, di sudore, di lavoro e di crisi vissute in una provincia ormai, non da ieri, multireligiosa e multietnica. Risorsa, ricchezza, futuro. L’antidoto più forte che parte da qui, da noi, per vincere l’odio e l’orrore anche di quest’ultima brutalità che, se pure c’indigna, non ci deve far smarrire.
05 feb 2015 00:00