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di GUIDO COSTA 16 apr 2015 00:00

L'Italicum della discordia

Polemiche e accuse non sembrano frenare la determinazione del Governo secondo il quale la nuova legge assicura la governabilità di cui l’Italia ha bisogno

Il cammino della nuova legge elettorale agita le acque della politica. Il testo modificato e approvato a gennaio dal Senato arriverà a Montecitorio in terza lettura entro il 27 aprile per essere approvato entro la fine di maggio. Polemiche e accuse non sembrano frenare la determinazione del Governo secondo il quale la nuova legge assicura la governabilità di cui l’Italia ha bisogno. I suoi cardini sono: seggi assegnati in proporzione ai voti ricevuti; nuove circoscrizioni elettorali divise in 100 collegi più piccoli; capilista bloccati (con possibilità di candidatura fino a 10 collegi) ma voto di preferenza per gli altri candidati; soglia del 3% per entrare in Parlamento; premio di maggioranza (il 55% dei seggi) alla lista che ottiene più del 40% dei voti. Se al primo turno nessuno raggiunge questa percentuale è previsto il ballottaggio tra le due liste più votate. “Un sistema che garantisce sempre una maggioranza a chi vince”, va ripetendo il Presidente del Consiglio. Renzi qualche ragione ce l’ha.

La discussione è su come si arriva al risultato. Male, secondo le opposizioni parlamentari che temono la forte polarizzazione politica. Malissimo, a sentire la minoranza del Partito democratico ,che mettendo in parallelo la trasformazione del Senato in organo elettivo di secondo livello e la nuova legge elettorale, parla di deriva autoritaria. Parole grosse, dettate sicuramente anche da questioni di merito ma che hanno dentro il fastidio per la genesi della nuova legge – l’intesa tra Renzi e Berlusconi (e poco importa se quest’ultimo l’ha poi ripudiata) – e il disagio sul processo di rinnovamento del partito imposto dal segretario-presidente. Lo scontro si concentra sui capilista bloccati, un modo come un altro, sostengono i critici, per riempire il Parlamento di nominati più che di eletti.

In verità, anche nel peggiore dei casi (nessuna mobilità dei capilista), dei 340 seggi di maggioranza due terzi degli eletti saranno scelti con il voto di preferenza. Forse qualche riflessione in più la meriterebbe il premio di maggioranza, non tanto per inseguire chi prefigura la presa del potere di minoranze politiche elette da una percentuale sempre più bassa di elettori, ma per considerare la necessità di dare contrappeso alle giuste esigenze della governabilità, magari attraverso la rinuncia al meccanismo delle soglie. Un sistema elettorale così premiale per la maggioranza non dovrebbe ridurre gli spazi della rappresentanza politica, così come dovrebbe rafforzare le garanzie di controllo che sono prerogativa delle opposizioni.
GUIDO COSTA 16 apr 2015 00:00